Recensione di “Julie ha un segreto”, esordio del regista belga Leonardo Van Dijl
Recensione di "Julie ha un segreto", diretto da Leonardo Van Dijl. Una narrazione fin troppo intimista per un esordio

Julie ha un segreto… e lo custodisce a lungo.
“Un’apprezzata tennista di sicuro avvenire”
A mo’ di parafrasi di un film di Giuseppe De Santis del 1972, così può essere inquadrata la protagonista del lungometraggio d’esordio del regista belga Leonardo Van Dijl, Julie ha un segreto, nelle nostre sale a partire dal prossimo 24 aprile.
Tra l’altro Tessa Van den Broeck, chiamata a vestire i panni della Julie del titolo, tennista lo è nella vita reale. Ma se anche la racchetta ricorre con insistenza (talora eccessiva) in molte scene, questo film non può essere di certo collocato nell’alveo delle produzioni cinematografiche a carattere meramente sportivo.
Il nucleo della vicenda ruota infatti intorno ai comportamenti non “cristallini”, e non meglio definiti, di un istruttore del circolo di cui Julie – che mira senza false modestie a diventare una professionista – fa parte e che per questo viene rimosso dal suo incarico.
Tuttavia c’è qualcosa di più, ed emerge con chiarezza sin dall’inizio: la ragazza è in qualche modo coinvolta direttamente nel fatto ma sceglie la strada del silenzio.
Non fino alla fine, però.
Giovani e adulti
La protagonista non vive comunque in un mondo tutto suo, perché, nonostante il segreto che custodisce, l’interazione con i suoi coetanei è continua, pur spesso mediata dall’uso del cellulare. Nulla di cui sorprendersi del resto, in presenza di una gioventù che sì, utilizza i moderni mezzi di comunicazione che le si offrono, ma che è stata devastata dalla clausura imposta dall’incubo pandemico. E il regista non manca di rimarcarlo.
E gli adulti? Restano sullo sfondo, quasi impartecipi, volutamente sfocati, spesso non inquadrati dalla cinepresa o per lo meno soltanto in un secondo momento. I loro interventi nella vicenda appaiono marginali o semplicemente consequenziali. Suggestioni da Kids (1995)?
I primi piani
Tutto il film vive di numerosi, prolungati e silenti primi piani della protagonista. Accorgimento tecnico che nell’intento registico appare funzionale a sottolineare il “taciuto” di Julie, ma nell’ambito di una narrazione già di per sé iperintimista alla lunga rischia di estenuare lo spettatore. In un taglio decisamente didascalico e in alcuni momenti quasi documentaristico appare sinceramente un po’ eccessivo.
In conclusione, si attende Van Djil ad una nuova e più convincente prova.