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Nel cuore dell’oscurità: recensione de “La Zona d’Interesse” di Jonathan Glazer

Nel cuore dell'oscurità: recensione de "La Zona d'Interesse" di Jonathan Glazer.

Nel cuore dell’oscurità: recensione de “La Zona d’Interesse” di Jonathan Glazer

La seconda guerra mondiale è ancora una volta protagonista al cinema, questa volta è il regista Jonathan Glazer (già famoso per Sexy Beast – L’ultimo colpo della bestia, Under the Skin e dell’evitabile Birth – Io sono Sean) a voler dare la sua interpretazione dei fatti, seppur basandosi sul libro omonimo di Martin Amis (2014) autore morto nei giorni della presentazione del film al Festival di Cannes.

Lo stile è quello asciutto fatto di routine, small chat, della bucolica vita di tutti giorni, mentre è lo scenario di fondo ad essere bigger than life: la quotidianità del comandante SS e famiglia, in una tenuta confinante con il campo di concentramento di Auschwitz.

E’ un cinema minimale, freddo, fatto di discorsi di scarsa importanza, gesti quotidiani, colazioni, cura del giardino, a volte è difficile mantenere la concentrazione, intervallati a flash evocativi ed improvvisi che, nell’intenzione dell’autore, dovrebbero mostrare (o meglio suggerire), seppur con toni indiretti, onirici ed ellittici, la vita, quella si speciale, all’interno dei campi di concentramento.

L’orrore per una volta non sono i corpi delle vittime, straziati dal dolore e dalla follia nazista, ma la vita priva di empatia e di qualsiasi altro tratto umano dei carnefici.

La banalità del male

Questo contraltare dura per tutta la durata del film, rotto soltanto dalla trama burocratico-militare: il comandante Rudolf Höss (Christian Friedel) nonostante l’ “ottimo” lavoro che ha fatto ad Auschwitz, e di cui è pienamente soddisfatto, deve essere sostituito e trasferito per ragioni di stato, mentre la moglie Hedwig (Sandra Hüller) preme perché almeno la famiglia resti nell’incantevole magione, indifferente ed insensibile alle atrocità, non manifeste ma percettibili, che avvengono a pochi metri di distanza.

La scelta di non mostrare in modo chiaro e lineare ciò che accadeva ad Auschwitz, il lasciar libero il pubblico di interpretare gli splendidi flash creativi del regista, il sonoro a tratti disturbante, ci accompagna fino al finale, in un improvviso quanto inaspettato flash forward ambientato nel presente.

La natura non didascalica del progetto non può che lasciare interdetti, polarizzando i giudizi, anche se è piaciuta la narrazione ad intervalli, il mostrare senza mostrare (basti pensare alla violenza sessuale del comandante nei confronti di una addetta alle polizie polacca, dove viene mostrato solo il prima e il dopo, portando lo spettatore in maniera indiretta alla consapevolezza di ciò che è accaduto nello spazio vuoto).

Ottima la regia, ma la storia soffre la lunga durata

Molto interessante la prova registica, ad esempio nell’utilizzo di campi e controcampi, nell’uso della telecamera termica per ottenere un’immagine in negativo nelle scene oniriche, o nella scelta di limitare i primi piani per non generare empatia nel pubblico.

Per la sua natura ciclica, scarna e minimale avremmo preferito però se fosse stato pensato e realizzato sotto forma di mediometraggio, soffrendo la lunga durata.

Questo, ovviamente, solo per lo scrivente, per il resto del mondo il film è già un instant classic; già vincitore del Gran Premio Speciale della Giuria alla 76ma edizione del Festival di Cannes, Miglior film in lingua straniera al National Board of Review 2023, applaudito alla Festa del Cinema di Roma, annovera ben 5 candidature agli Oscar 2024.

Prodotto dalla A24 e distribuito da I Wonder Pictures, Zona d’interesse approderà nei cinema italiani il 22 Febbraio 2024.

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Andrea Cesaretti

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