Roma Whisky Festival: ottava edizione con masterclass, degustazioni e seminari. Intervista al “whisky consultant” Pino Perrone
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Si tiene a Roma, sabato 2 e domenica 3 marzo 2019, presso il Salone delle Fontane all’Eur (via Ciro il Grande, 10) l’ottava edizione di Roma Whisky Festival, il più importante festival di settore italiano. Imperdibile appuntamento per tutti coloro che vivono il mondo del whisky, Roma Whisky Festival si conferma un evento ricco di degustazioni, masterclass, seminari sulla mixology, incontri e, per il secondo anno consecutivo, stand dei migliori cognac e armagnac, affidati a esperti del settore con l’obiettivo di creare appuntamenti ad alto contenuto di “spirito”. Ma anche, per la prima volta, una mostra dedicata al design e all’architettura di una distilleria in costruzione in Scozia. Il tutto con la direzione artistica di Andrea Fofi, affiancato dai whisky consultant, Pino Perrone, Andrea Franco e la scozzese Rachel Rennie.
Da sempre il mondo del whisky ha avuto un connubio perfetto tra cinema e musica. Perchè, a suo giudizio?
“Il whisky è sempre stato ritenuto con un’accezione che stiamo tentando da anni di scrollargli di dosso, quella legata a un elemento trasgressivo, da villain, perfetto compagno di coloro che dovevano atteggiarsi a tale, veicolo per cercare oblio – spiega Pino Perrone, whisky consultant – raramente si è visto al cinema e in letteratura, o narrato nei testi musicali come un principio edonistico. Si è cominciato, ma solo di recente. Credo questa sia la motivazione. Sono sempre molto contento quando leggo e vedo che si è cambiata strada, aiuta anche a far emergere la qualità e a parlare dell’argomento più liberamente e serenamente, senza dare la spalla a essere censurato per principi ritenuti morali”.
A 70 anni, Tom Waits con la sua voce cavernosa, satura di alcol e sigarette, si conferma una delle prime scelte per dare un volto all’America dei margini, al confine della legalità, un artista che osserva il mondo attraverso una bottiglia di whisky semivuota. Lo ricordiamo nel 2018 nel film Old Man & the Gun. Che tipo di fascino esercita il whisky, al cinema e nella musica?
“Quella sbagliata. Come dicevo prima, se questa domanda è posta a una persona che organizza un festival al quale è consacrato, che lo ama da 27 anni, che lo promuove come il migliore dei distillati possibili, che è docente dei corsi a lui dedicato, che tiene masterclass in giro per l’Italia, per quanto sia anche amante di altre arti “convenzionali” (anche il whisky lo è forma d’arte nelle sue migliori espressioni) come il cinema, la musica e la letteratura, non può essere soddisfatto della maniera nella quale è presentato”.
Ken Loach mandava il Whisky in Paradiso, in un suo film del 2012. “Angel’s Share – La parte degli angeli” raccontava infatti l’intreccio del destino dei protagonisti con quello della superpreziosa botte di whisky, bandita in un’asta milionaria per ricchi e appassionati collezionisti. Ecco che ritorna il whisky, in un film di redenzione etico-professionale in cui il protagonista si riscatta e conosce un mondo fino ad allora sconosciuto.
“Ogni anno una parte del contenuto della botte evapora, per via il principio di termodinamica di Le Chatelier. Questo era già noto ai produttori di Cognac che lo chiamarono La part des anges. Per questa ragione il film si chiama in questa maniera. La tematica principale dei film di Ken Loach è da sempre stata quella del riscatto sociale. Anche in quello che è stato definito da molti una delle sue pellicole più leggere. Io non lo ritengo inferiore alle altre sue opere, e ha consentito di poter parlare del whisky nella giusta maniera e in un modo da poter arrivare a tantissime persone. Proprio all’opposto di quanto era stato fatto fino ad allora, e di quanto criticavo prima. E’ la storia di una iniziazione a una passione, descritta perfettamente in tutte le sue fasi e in cui mi sono trovato pienamente. Tutti quelli come il sottoscritto hanno seguito le fasi che nel film sono state descritte. Poi, nel film, per doveri narrativi, si consente qualche licenza, come il ritrovamento altamente improbabile di una botte di un whisky torbato di una distilleria chiusa cinquant’anni prima. Ma amo questo film e spesso lo cito poiché ha fatto per la conoscenza di questo distillato più di qualunque altra opera d’arte. E, ripeto, nella direzione giusta del prodotto di qualità. E di questo dobbiamo ringraziare molto, forse più di Ken Loach, il suo fedele sceneggiatore Paul Laverty, che avendo una mamma di origini scozzesi propose al regista il film”.
Attore non protagonista ma essenziale ancora il whisky, anche nel celebre film Casablanca, dove Humphrey Bogart resta nell’immaginario collettivo non solo per la sua sigaretta e il suo cappello ma soprattutto per un’immancabile bottiglia di whisky.
“Va bene, il film diretto da Michael Curtiz nel 1942 è un capolavoro, ma non come è presentato il whisky”.
Hollywood non sarebbe Hollywood e non sarebbe grande cinema senza il whisky, protagonista, comparsa, attore non protagonista ma spesso sulle scene di tanti film cult che hanno fatto la storia del cinema americano, pensiamo a Greta Garbo, a Marilyn Monroe, che nel film “A qualcuno piace caldo” del 1959 dovette ripetere moltissime volte la battuta “Dov’è il Bourbon?”. È la famosa scena in cui sempre la bellissima Marilyn entra in camera di Lemmon e Curtis chiedendo appunto del distillato “dov’è la bottiglia?, dov’è il whisky?”.
“Grazie al cielo ora negli Stati Uniti si trovano una miriade di ottime distillerie, alcune recenti, che producono distillati di gran rilievo. Una sorta di tendenza degli ultimi anni che ha portato il bourbon sulle vette della scala della qualità mondiale. Di gran lunga superiore a ciò che poteva chiedere di bere la bellissima attrice bionda o la ben più affascinante Diva. E lo sostengo quasi a malincuore, dal momento che, come molti sanno, sono un devoto dello scotch whisky”.
Ho fatto una piccola ricerca sul cinema: l’apoteosi e l’elogio perfetto al whisky viene da Jessie Royce Landis in Caccia al Ladro, film celeberrimo del 1955 di Alfred Hitchcock, che rivolgendosi agli attori Cary Grant e Grace Kelly dice loro “Il whisky americano è la sola cosa. Se fosse per me, tutto lo champagne di Francia potrebbero buttarlo in acqua“. Si narra a Hollywood che perfino l’attore Clark Gable pasteggiasse a whisky, anzichè acqua a tavola.
“Beh, se qualcuno dovesse sul serio fare una cosa del genere, ditemi dove butta lo champagne che mi ci reco immediatamente! Una frase certamente da stigmatizzare, malgrado contenuta in quel capolavoro di To catch a thief. Pertanto non la ritengo affatto un elogio perfetto al whisky, anzi, fra le peggiori, perché parte da basi non vere. E non l’avrei accettata neppure se avesse sostituito lo scotch, che all’epoca del film era certamente migliore e, dal mio punto di vista, lo è tuttora, a quell’americano. Per quel che concerne invece il pasteggiare con il whisky, il discorso è più complesso. Il principe degli abbinamenti con il cibo è – e rimarrà sempre – il vino. Con lo champagne, così disprezzato dalle quelle citazioni, si potrebbe addirittura prevederlo per un accostamento felice a quasi tutti i generi di cibo. Ma nessuno vieta che si possa abbinare anche del whisky in un pranzo o una cena. Ma attenzione a due cose: la prima è che un conto è abbinare e un’altra pasteggiare. La seconda è che per poterci pasteggiare, bisogna necessariamente diluire il whisky a una gradazione alcolica talmente irrisoria da svilire il distillato, trasformandolo in qualcosa che nelle origini e nelle intenzioni di chi l’aveva imbottigliato non era. Ma vige la democrazia…”.
Insomma, whisky e musica, whisky e cinema che cosa hanno in comune?
“Whisky, musica, cinema – e aggiungo letteratura – sono forme d’arte. E come tali posso essere dei capolavori o autentica spazzatura. In questo si assomigliano e possono coesistere l’un nell’altra. In natura, il whisky non esiste. E’ opera dell’uomo. Per questo è da ritenersi un’opera d’arte: quando, attraverso i suoi aromi e il suo sapore, riesce a essere altamente evocativo. Questo accade nelle sue migliori espressioni. Così come alcuni film arrivano a commuoverci e altri no”.
Che futuro hanno whisky, cognac? Che cosa si aspetta da questo Festival, qual è il segreto del successo e dell’affetto di pubblico e di addetti ai lavori? A quale pubblico si rivolge il Festival? Quali etichette sono rappresentate? E, non ultimo, c’è stato un forte incremento di pubblico rispetto già al 2017, cosa ne pensa? Quali etichette consiglia alla persona invece inesperta che si presenta per la prima volta?
“Tante domande in una sola, non è facile rispondere. Il futuro del whisky e del cognac è tutto ancora da scrivere, secondo me una manifestazione come la nostra può dare un forte contributo in questo. Mi aspetto un’affluenza per lo meno pari a quella dell’edizione passata e altrettanta curiosità e crescita nella richiesta. Il pubblico è veramente il più disparato. Molti giovani si sono avvicinati di recente. Registro anche un sostanziale incremento delle donne degustatrici. Altri ci arrivano grazie alla mixology. Poi ci sono i “nerd” del whisky. Infine, molti liberi professionisti che ricercano un distillato che “gratifichi”. Non ci rivolgiamo a un pubblico specifico, ma a tutti coloro che già amano questo distillato o che stanno cominciando a farlo. Non posso certamente citare tutte le etichette rappresentate perché parleremo di migliaia di prodotti che, aggiungo, provengono da tutto il mondo. Quindi non solo Scozia, ma anche Irlanda, Giappone, Francia, Italia, U.S.A., Australia, India, Taiwan, persino Islanda e certamente dimentico tante altre nazioni. Venite a scoprilo, chi si presenterà per la prima volta potrà essere aiutato nella scelta partecipando a uno dei nostri corsi ABC del whisky, che si tengono al festival ogni 45 minuti. Slainte!”.