SitoPreferito

Cinema In Evidenza Notizie Recensioni

“Civil War”: la recensione del film di Alex Garland, un grido d’allarme sull’America di oggi

Un grido di allarme sull'attuale clima di divisione politica negli Stati Uniti, questo è "Civil War" di Alex Garland,

“Civil War”: la recensione del film di Alex Garland, un grido d’allarme sull’America di oggi

Un grido di allarme sull’attuale clima di divisione politica negli Stati Uniti, questo è “Civil War“, film di Alex Garland dal 18 aprile nelle nostre sale in cui il regista americano riflette sull’America attuale, trasformando la narrazione, che oscilla tra la cruda realtà e una distopia ormai troppo vicina per essere comoda, in una riflessione e un monito che non va ignorato.

Garland, conosciuto per il suo tocco unico nel fondere la narrativa di genere con il commento sociale, questa volta si immerge in un’America divisa da una nuova guerra civile, seguendo da vicino un gruppo di giornalisti militari nella loro corsa contro il tempo per raggiungere Washington D.C. prima che le fazioni ribelli lo facciano. Il loro obiettivo è intervistare il Presidente degli Stati Uniti.

Le immagini che vediamo scorrere sullo schermo sono immagini a cui siamo tristemente assuefatti, scenari di guerra, esplosioni, conflitti a fuoco, crudeltà di uomini contro altri uomini. Il film indaga lo stato attuale degli Stati Uniti utilizzando proprio immagini che abbiamo visto nelle zone di guerra all’estero, o, per restare in casa, nell’assalto di Capitol Hill, applicandole a contesti familiarmente americani e, – ma siamo sicuri? – di un film di fiction e intrattenimento.

Tuttavia, non si limita a questo. La vera forza di “Civil War” risiede nella sua capacità di elevare queste questioni oltre il semplice dibattito politico, ponendo interrogativi scomodi sulla natura umana, sulla violenza e sul ruolo del giornalismo in tempi di crisi.

Il ruolo del giornalista e il potere delle immagini

Kirsten Dunst, nei panni della giornalista Lee, è una rappresentazione potente di una professionista consumata dalla sua stessa professione, desensibilizzata dopo anni di copertura di conflitti globali. Dunst incarna perfettamente una figura che ha visto il peggio dell’umanità, ma che continua a spingere avanti, spinta da un’etica del lavoro che pone la storia al di sopra di tutto. Allo stesso tempo, Garland sfrutta la sua narrativa per esplorare il dilemma morale dei giornalisti e la loro responsabilità in tempo di crisi, divisi tra l’obbligo di documentare gli orrori e la paura di essere complici nell’escalation del conflitto.

All’interno del film compaiono spesso le foto, le immagini – spesso in bianco e nero – che scattano i reporter nei momenti più concitati e pericolosi. Come le immagini in movimento scorrono vorticose, scena d’azione dopo scena d’azione, così le immagini impongono di fermarsi, osservare, analizzare e assorbire: è il potere delle immagini di guerra, la loro capacità di plasmare la percezione pubblica del conflitto.

Il personaggio di Lee riflette anche una crisi esistenziale più ampia, interrogandosi sul significato del suo lavoro in un mondo dove sembra che i suoi avvertimenti e le sue documentazioni degli orrori non abbiano impedito l’avvento di un nuovo conflitto devastante sul suolo americano. Questo aspetto del suo personaggio solleva domande provocatorie sull’efficacia del giornalismo di guerra (è ancora necessario quando tutti, con un cellulare, possono scattare video e foto?) e sulla desensibilizzazione del pubblico alle immagini di violenza.


Una regia immersiva e sempre serrata

Il film, oltre a porsi come opera di ampie riflessioni, è un war-movie spettacolare che lascia spesso con il fiato sospeso. Con le sue sequenze d’azione tesissime e l’uso di tecnologie di ripresa che simulano la prospettiva umana, offre un’esperienza cinematografica immersiva che porta lo spettatore nel cuore della guerra, senza però glorificarla.

Ma, come spiegato sopra, l’aspetto più interessante di “Civil War” va oltre la spettacolarità visiva o il puro intrattenimento. È un commento agghiacciante sulla società contemporanea e sulla capacità dell’arte di fungere da specchio delle nostre paure più profonde. E, soprattutto, è un film che non lascia indifferenti.

About Author

Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *