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Recensione di The Holdovers – Lezioni di vita, il nuovo film di Alexander Payne. Una dolce commedia sulla solitudine

Recensione di The Holdovers - Lezioni di vita, il nuovo film di Alexander Payne. Una dolce commedia sulla solitudine

Recensione di The Holdovers – Lezioni di vita, il nuovo film di Alexander Payne. Una dolce commedia sulla solitudine

Film vintage, fuori tempo, a partire dalla fotografia color pastello.

Inizio anni 70, il regista Alexander Payne coerentemente con il periodo realizza una pellicola dall’animo folk rock, calda e avvolgente, lontano dalle sonorità più acid rock e i toni caustici di alcune sue opere passate (A proposito di Schmidt – Sideways).

Ci sono ancora disperazione e malattia mentale, ma il cinismo è ridimensionato.

Dopo il passo falso nel futuro di Downsizing fa piacere questo back to the past ai toni di Nebraska (e quindi, per proprietà transitiva, a Peter Bogdanovich – echi di Paper Moon e, perchè no?, Saint Jack).

Lezioni di vita inizia con la fine delle lezioni alla Barton Academy, per la pausa natalizia.

5 ricchi studenti abbandonati per vari motivi dalle famiglie dovranno essere tutorati dall’antipatico, rigido, demodè, compiaciuto Paul Human/Paul Giamatti fino a quando la scuola non riaprirà i battenti

Sembrerebbe l’inizio di uno scontro generazionale ed invece il film deraglia e diventa una commedia sulla solitudine. 4 dei 5 studenti lasciano l’accademia e vengono salvati in corner dalla noia, dalla tristezza e da quello che si preannunciava il peggior Natale della loro vita.

Con Paul Human rimane solo l’emaciato, nevrotico ma brillante Angus Tully (Dominic Sessa, al suo primo ruolo in assoluto), e Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph), cuoca dell’accademia fresca di lutto – figlio morto nella guerra del Vietnam.

Cosa avranno in comune 3 persone così diverse?

Sicuramente il fatto di essere state abbandonate, in un modo o nell’altro.

Dai genitori (Angus), dal proprio figlio (Mary), dalla vita (Paul).

Del resto, Holdovers, il titolo originale, è traducibile con retaggi, rimanenze ma anche con avanzi.

Il film ci fa conoscere i personaggi mentre si conoscono tra di loro, avanzando con i toni di una commedia brillante nonostante la complessità dei temi trattati (i soliti: la morte, la malattia mentale, la tristezza, il senso della vita, i sogni, infranti o ridimensionati – Paul sogna di scrivere una monografia perchè scrivere un libro è troppo complesso).

Qui sta l’eccezionalità della pellicola, la capacità di farci ridere e affezionare ai personaggi senza fare sconti, mostrando i loro limiti ed idiosincrasie senza precipitare nel cringe o ammiccare beceramente agli istinti più basici dei telespettatori.

La trasformazione dei personaggi li porterà sulla strada per Boston, dove conosceremo la famiglia di Angus e Mary, prima del ritorno all’accademia. La conoscenza reciproca li renderà più forti e capaci di affrontare le avversità della vita, in un finale pieno di speranza.

E’ un film importante e necessario, un instant classic perchè senza tempo.

Paradossalmente la bellezza del film non stupisce in quanto Alexander Payne è ormai da tempo un autore importante con uno stile maturo e riconoscibile costruito con i vari Nebraska, Paradiso Amaro, Sideways e A proposito di Schmidt.

In questo è stato coadiuvato dall’efficace sceneggiatura di David Hemigson e da una serie di attori perfettamente calati nelle parti.

Un nome su tutti, Paul Giamatti che aveva già lavorato con Payne in Sideways. E’ un film molto parlato, ma la fisicità di Giamatti è qualcosa che resta, la sua faccia stanca, i suoi occhi strabici. Una scena su tutte, durante la festa di Natale, l’ennesimo calcio ricevuto dalla vita, il regista abbandona il resto e si concentra sul viso di Paul: nella mezza paresi di quell’occhio smorto vediamo tutta la sofferenza e tristezza del suo mondo.

Presentato al Torino Film Festival e dal 18 gennaio al cinema.

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Andrea Cesaretti

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