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Recensione di Suzume di Makoto Shinkai: la “chiave” per crescere e superare il dolore

La prova della maturità per Makoto Shinkai, un film che riempie il cuore e gli occhi, questo è Suzume

Recensione di Suzume di Makoto Shinkai: la “chiave” per crescere e superare il dolore

La prova della maturità per Makoto Shinkai, un film che riempie il cuore e gli occhi, questo è Suzume (Suzume no Tojimari) l’ultima fatica del regista nipponico nei cinema italiani, prodotto da CoMix Wave Films e distribuito in Italia da Sony Pictures Entertainment Italia, già presentato in competizione alla 73° edizione della Berlinale.

Se avete visto i suoi lavori precedenti e più famosi, sapete già cosa aspettarvi: Shinkai ama realizzare storia d’amore adolescenziale in un contesto fantasy o fantascientifico, utilizza questi elementi per parlare di argomenti di portata universale: il destino, la tragedia, la crescita, la vita in tutte le sue sfaccettature e, in questa sua ultima opera, la morte, l’accettazione del dolore, il superamento di un lutto, rendono questa sua opera ricca di sfumature, riflessiva e simbolica, ma anche avventurosa, divertente, eccitante e frenetica.

Alla fine il film è un lungo on the road in cui la protagonista imparerà ad abbracciare il suo dolore, accettarlo e, in definitiva, a crescere, nel tipico stilema del romanzo di formazione. Accettazione del dolore che non è solo personale, ma quello di un intero popolo.

Ma andiamo con ordine (seguono leggeri spoiler, leggete dopo aver visto il film).

Non si può parlare del film senza tornare alla mente all’11 marzo del 2011, al terribile terremoto e maremoto del Tōhoku che uccise quasi 20.000 persone, ne ferì altre migliaia e causò danni catastrofici in tutto il paese.

Una ferita ancora aperta, un dolore che il popolo giapponese sta ancora cercando di metabolizzare. Makoto Shinkai con il suo film pone un tassello importante verso questa direzione, e sarà interessante vedere quali altre opere gli artisti giapponesi tireranno fuori (così come è stato per il Vietnam o l’11 Settembre per gli Americani, ad esempio).

Una bambina vaga tra le maceria, cerca la madre, trova una porta, la attraversa e si ritrova in una sorta di altrove.

Ritroviamo la bambina ormai adolescente, viva con la zia in un paese della regione di Kyūshū, nel sud del Giappone. Un giorno, la ragazza incontra il misterioso Sōta, che sta cercando – guardate un po’ – una porta. Lei gli segnala quella di un villaggio termale abbandonato, da cui improvvisamente emerge una sorta di mostro di fumo che solo i due riescono a vedere. Suzume e Sōta riescono con difficoltà a chiudere la porta, che il ragazzo le spiega essere un passaggio dimensionale: ce ne sono moltissime sparse ovunque, e quando vengono aperte producono dei “vermi” giganteschi che si abbattono a terra generando i terremoti; chiudere le porte prima che sia troppo tardi è il compito di Sōta.

Mentre è a casa di Suzume per curarsi le ferite, Sōta viene trovato da un gatto “scongelatosi” da una pietra-sigillo e da lui trasportato dentro una sediolina per bambini: Sōta (ormai in forma di sediolina) e Suzume inseguono il gatto per far tornare umano il ragazzo, ma il gatto scappa viaggiando per gran parte del Giappone da sud verso nord; i due riescono a seguirne le tracce perché l’animale diventa famoso sul web col nome Daijin, e nei vari luoghi che visita apre varie porte che i due dovranno chiudere.

Incredibilmente, tantissime porte inizieranno ad aprirsi in tutto il Paese: Suzume e Sōta andranno in viaggio per trovarle tutte e chiuderle a chiave, cercando di salvare il Giappone da una catastrofe dalle conseguenze altrimenti tragiche.

Da qui il lungo viaggio all’inseguimento del dispettoso gatto, chiudendo porte prima che una sorta di verme (che mi ha ricordato molto il “fumo nero” di lostiana memoria, ma anche il mostro di Stranger Things) uscito dai misteriosi varchi provochi danni irreparabili.

Chiudere le porte, andare avanti

Il film è una corsa frenetica lungo tutto il Giappone e, come tutti i viaggi, quello che succede nel mezzo è importante come (se non di più) dell’arrivo alla meta. Così Suzume vivrà, nel corso del viaggio, diverse avventure, imparerà ad accettare la natura imprevedibile della vita: conoscerà persone, si troverà a lavorare in un bar, crescerà come persona, venendo a patti con il suo doloroso passato, con la perdita della madre, troverà l’amore, combatterà per esso, imparerà diverse cose sul senso della perdita, del dolore, in un viaggio tanto esterno quanto interiorizzato, dentro di sé.

Girovagando per il Giappone, Suzume scoprirà la verità dei luoghi considerati abbandonati, perduti, morti.

Queste misteriose porte che incontrano i protagonisti del film si trovano sempre in luoghi abbandonati, come un paese o un vecchio e decrepito luna park (uno dei momenti più belli del film): la chiave per tenere a bada l’oscurità è “ricordare“, mantenere vivo il ricordo dei luoghi, delle persone che ci sono passate, delle loro vite, rispettando il passato e tutto quello che può insegnare. In un film del genere in cui il peso dei ricordi è importantissimo, Suzume sottolinea come questi ricordi possano salvare il mondo.

Tecnica superba al servizio delle emozioni

Visivamente il film è strabiliante, e vi consigliamo di vederlo sul più grande schermo che riusciate a trovare: colori saturi, immagini brillanti che donano al tutto un sapore immaginifico, animazioni che lasciano a bocca aperta, integrazione 2d e 3d allo stato dell’arte.

Shinkai orchestra una manciata di straordinarie sequenze, sia che si tratti di scene action, di inseguimenti, o momenti di vita quotidiana e di apparente calma. La sequenza finale, l’orrore cosmico che prende il sopravvento nell’atto finale del film, è una delle più potenti del suo cinema. Contribuisce la colonna sonora che accompagna ogni scena e sottolinea le emozioni. I Radwimps, che in precedenza hanno convinto su Your Name e Weathering With You, firmano una colonna sonora che si integra perfettamente alle immagini, catturando sia la natura intima che fantastica di questa storia d’amore non convenzionale.

L’amore di Shinkai per Hayao Miyazaki è evidente, il maestro nipponico è omaggiato più volte nel corso della pellicola e aleggia lo spirito più bizzarro e fantasioso in scene, character design e musiche. Sono omaggi – forse dovuti – perchè per il resto la fantasia di Shinkai sembra abbracciare uno spazio sconfinato e avventuroso, camminando da solo verso una poetica personalissima.

Prendiamo la sorprendente trasformazione di Sōta in una sedia per bambini antropomorfa con tre gambe: adorabile per un pubblico giovane, con uno spirito che si avvicina molto allo studio Ghibli, ma anche, per lo spettatore adulto, una splendida metafora del non essere completi, e comunque sia andare avanti. D’altra parte, non siamo tutti sedie rotte a cui manca sempre qualcosa?

Forse la cosa più giusta da dire è che Shinkai e Miyazaki corrono paralleli verso i prati sconfinati dell’immaginazione, verso uno stesso traguardo: la fascinazione e l’incanto dello spettatore.

Sarà difficile per Shinkai riuscire a superare quello che ad oggi è la sua opera più riuscita, ma se qualcuno può farlo è sicuramente lui, e non vediamo l’ora di scoprirlo.

About Author

Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

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