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Recensione di Silent Night, il film “natalizio” di John Woo

Recensione di Silent Night - Il silenzio della vendetta, il film "natalizio" di John Woo in cui il regista

Recensione di Silent Night, il film “natalizio” di John Woo

Per me, John Woo è una questione personale. Per questo non sarò breve.

Sono un fan di John Woo. Sono un grande fan di John Woo. Ma non un fan di quelli che si sono appassionati al regista di Hong Kong a partire da Face/Off o Mission Impossible 2. No. Io sono suo fan da A Better Tomorrow 1 e 2, da Bullet in the head, da The Killer e Hard Boiled. Sono il fan che si è andato a cercare anche le sue prime commedie e wuxia, prima di sbancare e rivoluzionare un genere con A Better Tomorrow.
Un fan che si è visto e comprato anche il suo primo film action, il bellico Heroes Shed No Tears. Di quei fan che si andavano a cercare i VCD ai mercatini cinesi di piazza Vittorio (Roma), o ordinare le VHS da YesAsia quando ancora costavano un rene e mezzo polmone.

Per questo motivo quando ha annunciato il suo nuovo film hollywoodiano, a vent’anni dall’uscita di Paycheck, dichiarando che sarebbe stato un action ambientato a Natale in cui non si sarebbe detto una parola ho pensato: bè, pane per i denti di Mr. Woo, immaginando sequenze action furibonde, tornando magari a quegli eroici bagni di sangue che hanno caratterizzato un periodo del suo cinema e hanno influenzato tutto un modo di fare cinema d’azione, regalandoci film memorabili.

Così dopo i film americani, e dopo essere tornato in patria per due kolossal storici, La battaglia dei tre regni e The Crossing (il secondo dei quali mai visto in Italia), eccolo tornare in America per fare quello che gli riesce meglio.

Un action. A Natale.
E’ festa, mi sono detto.

Ma prima di raccontarvi di Silent Night – Il silenzio della vendetta, faccio un passo indietro. Dalla regia mi chiedono: perchè John Woo è così importante per gli action contemporanei? Cos’è che caratterizza un film di John Woo da uno dei tanti action che vediamo sui nostri schermi?

Il discorso si fa lungo e impegnativo, ma provo a riassumere, limitando quelle caratteristiche dei film di John Woo che poi abbiamo visto e stravisto in decine e decine di film occidentali. Avete mai visto un personaggio sparare con due pistole, una per mano? Ecco, viene dai film di John Woo. Avete mai visto uno stallo alla messicana (situazione per cui due uomini si puntano contemporaneamente una pistola in faccia)? Ecco, anche quello è stato portato ad arte da John Woo. Avete presente i ralenty, quelli che servono per enfatizzare non solo l’azione, ma anche la statura tragica ed eroica dei personaggi? Indivinate? Si, sempre da Woo. Per non parlare poi delle colombe che si alzano in volo, dell’azione coreaografata come un balletto, dell’amicizia virile, del melodramma che trasuda da ogni fotogramma e fa piangere come vitelli (e se non lo fate non avete cuore).

Insomma, fate prima a vedere tutti i film che ho citato appena sopra… tranquilli, mi ringrazierete dopo.

E arriviamo a Silent Night, che è prodotto dalla Thunder Road Pictures di Basil Iwanyk, già responsabili della saga di John Wick, diretta da Chad Stahelski, e dalla 87Eleven, la casa di produzione creata da David Leitch, ex stuntman poi regista e produttore.

Sulla carta, scrivevo prima, sembrerebbe pura materia plasmabile dal Woo’s touch.

La storia: ancora in lutto per la morte del giovane figlio, rimasto ucciso nel fuoco incrociato di uno scontro fra bande, proprio il giorno di Natale, il padre decide di uccidere i colpevoli la notte di Natale dell’anno successivo. Ferito a sua volta durante l’inseguimento degli assassini e ormai muto, l’uomo si addentra nei bassifondi criminali per compiere con ogni mezzo la sua silenziosa vendetta verso chi gli ha strappato suo figlio.

L’incomunicabilità è il cuore pulsante del film, è il silenzio del padre, è il vuoto privo di parole tra lui e la moglie dopo la morte del figlio, è la muta disperazione di un uomo distrutto che nella vendetta e nel suo destino già segnato di morte trova una sorta di conforto e, infine, la pace tanto agognata.

Sull’incomunicabilità, Woo aveva già girato un film incompreso e poco amato (non da me), Windtalkers, puntando sul rapporto tra il marine e il navajo custode di una lingua utilizzata per codificare i messaggi segreti così da impedirne la decodifica da parte dei giapponesi.

La cosa più riuscita di quel film era proprio il rapporto che si veniva a creare tra i due soldati, nonostante le differenze culturali.

In Silent Night il protagonista è solo con la sua vendetta, nonostante nella prima parte del film venga mostrata la moglie e il suo tentativo di comunicare con il marito, avvertiamo la solitudine del protagonista e la sua disperazione.

La prima parte del film è dramma, attesa, preparazione, ed è la parte migliore. Woo racconta come sa fare, con i movimenti di macchina, con una fotografia che sottolinea gli stati d’animo di un convincente Joel Kinnaman.

Woo ci butta subito in mezzo all’azione, con quest’uomo comune inquadrato in dettagli, il maglione con la renna, il sudore, il sangue sulle mani, l’espressione e la disperazione che gli si legge in volto.

Solo molto più in là con il minutaggio vedremo cosa è successo, ma è un’aggiunta francamente non necessaria, sappiamo già, ne abbiamo visti gli effetti, e tanto basta.

Dopo, arriva la parte sfrenata, la parte furiosamente action, i brutali corpo a corpo, le sparatorie, le esplosioni, le corse in macchina.

Il risultato finale è un action divertente, che si segue spesso con il respiro sospeso, diretto con la solita maestria, ma in cui Woo, il Woo di cui parlavo prima, il Woo delle colombe, dei ralenti, il Woo che ha rivoluzionato l’action moderno, appare appannato, trattenuto.

Il film si trascina prevedibile, senza particolari guizzi narrativi, con le canzoni natalizie a fare da triste contraltare alla violenza che inonda lo schermo.

A volte Woo sembra citare se stesso, penso al rapporto tra il padre e il poliziotto Vassell, interpretato da Kid Cudi, appena accennato, che in altri tempo poteva dar vita ad una relazione più complessa e stratificata, ad un’amicizia virile su cui Woo ha costruito pilastri di (melo)dramma, qui appena abbozzata e mai incisiva, anzi, del tutto inutile ai fini della narrazione.

Per chiudere: se andate al cinema sperando di vedere un ottimo film d’azione, allora ne uscirete soddisfatti, se invece andrete al cinema pensando di vedere il solito balletto di sangue e morte “alla John Woo“, bè, rimarrete delusi, e una volta a casa vi verrà solo voglia di infilare nel lettore un The Killer o un A Better tomorrow.

Forse, semplicemente, non è più tempo di eroici bagni di sangue. Prendiamo il film per quello che è, e non è poco considerando anche il basso budget a disposizione, e godiamoci queste due ore furibonde in cui un regista settantasettenne ci dà un altro prezioso insegnamento: mai rimanere uguali a se stessi, e ci tiene ancora con il fiato sospeso con un semplice movimento di macchina e il puro dinamismo di un corpo in movimento. E’ il cinema, bellezza.

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Giovanni Lembo

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