Recensione di “Non volere volare”, commedia “carina” e innocua di H. G. Sigurðsson
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Avete presente quel limbo infernale dove vanno a finire tutti quei film (o serie) che possono essere definiti “carini“? Quelli che si vedono, si apprezzano anche per svariati motivi ma che, per un motivo o per l’altro, non riescono ad emergere, a lasciare un segno, o per lo meno la soddisfacente sensazione di aver visto un’opera che difficilmente dimenticherete e che rivedremmo volentieri una seconda volta?
Ecco, “Non Volere Volare” (Northern Comfort), diretto da Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, è proprio così, un’opera che offre sicuramente spunti interessanti ma che non riesce mai ad essere graffiante, divertente o, anche solo, riflessiva come vorrebbe, nel suo cercare di intrecciare umorismo, avventura e una sottile critica sociale.
Così va a finire che diventa il classico film “carino” ma dimenticabile.
La trama si snoda attorno a un gruppo eterogeneo di personaggi, ognuno con la propria storia e i propri demoni da affrontare, che si ritrovano uniti dalla comune fobia del volo. La decisione di affrontare questa paura li porta a incrociare i loro destini attraverso l’agenzia “Viaggiatori Impavidi“, che promette di aiutarli a superare il loro timore con un corso altamente speciale. Tuttavia, quello che inizia come un tentativo di superare le proprie paure si trasforma rapidamente in una serie di eventi comici e disavventure, soprattutto quando si ritrovano bloccati in Islanda a causa di una serie di imprevisti e malintesi.
Il film bilancia momenti di leggerezza con riflessioni più profonde sulla natura umana, le paure, le dinamiche di gruppo e la libertà individuale. Le scene ironiche e divertenti non mancano, come quelle che vedono i personaggi confrontarsi con situazioni al limite dell’assurdo, ma, nonostante le premesse originali e gli sviluppi interessanti, alcune parti della narrazione rischiano di apparire forzate, con un ritmo che in certi momenti rallenta, rischiando di perdere l’attenzione dello spettatore.
Inoltre, la commedia a tratti può sembrare troppo leggera rispetto alle potenzialità del tema trattato, così come alcune situazioni troppo forzate, lasciando l’impressione che il film non abbia sfruttato appieno la profondità e la complessità dei personaggi e delle loro storie personali.
Sigurðsson fa un lavoro lodevole nel tenere insieme le diverse trame, anche se a volte la direzione artistica sembra non cogliere pienamente le sfumature di personaggi e situazioni, risultando in leggera disarmonia tra intenti e risultati.
La colonna sonora e la fotografia, però, giocano a favore dell’opera, immergendo lo spettatore nelle vastità inesplorate dell’Islanda, che diventa non solo una cornice ma un personaggio a sé, simbolo delle sfide e delle avventure che la vita pone davanti a ciascuno di noi, un po’ come faceva l’ambiente selvaggio ne I sogni segreti di Walter Mitty di Ben Stiller che, a ben guardare, ha parecchi aspetti in comune e un risultato che, anche se parte dalle stesse premesse (la paura, di osare, di buttarsi, di volare), risulta decisamente più convincente.