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Recensione di “Bad Boys: Ride or Die”: sulla via della pensione

Recensione di "Bad Boys: Ride or Die": tornano i due inossidabili poliziotti Will Smith e Martin Lawrence sulla via

Recensione di “Bad Boys: Ride or Die”: sulla via della pensione

Sono tornati e sono sempre gli stessi… o forse no? Uno ha un attacco di cuore, l’altro ha attacchi di panico. Il tempo passa per tutti, anche per i Bad Boys, che in questa quarta avventura, “Bad Boys: Ride or Die” ripropongono la stessa formula ormai forse un po’ stantia: tante battute (non tutte centrate) e tanta azione, con qualche omaggio ai capitoli precedenti e una timida volontà di provare a proporre qualcosa di nuovo.

In fuga

Quando il defunto capitano Conrad Howard viene accusato in via postuma di aver avuto dei coinvolgimenti negli affari della mafia rumena, i detective Mike Lowrey e Marcus Burnett si ritrovano a indagare sulla corruzione all’interno del dipartimento di polizia di Miami; al duo viene tesa una trappola che li trasforma in fuggitivi, costringendoli così a lavorare al di fuori della legge per risolvere il caso.

Bravi i registi, ma Michael Bay…

Tornano in regia, dopo il capitolo precedente “Bad Boys for Life“, Adil El Arbi e Bilall Fallah che cercano di portare una ventata di freschezza al franchise. Tuttavia, il tentativo si rivela spesso pretenzioso. La narrazione perde quella scintilla pirotecnica tipica di Bay, sostituita da una regia che, seppur creativa, manca di coesione. L’azione (tanta azione) c’è, ma senza il tocco di Bay, pur essendo ben realizzata, è canonica, prevedibile nelle sue esagerazioni ma senza quel tocco di spudoratezza e follia che Bay sa donare ai suoi lavori.

Il tempo passa per tutti, anche per i Bad Boys

La trama introduce tematiche più mature, come l’attacco di cuore di Mike e gli attacchi di panico di Marcus, mostrando la loro vulnerabilità e umanità. Tuttavia, il tentativo di una svolta mistica, sebbene interessante, risulta fuori luogo e poco sviluppato, lasciando lo spettatore più confuso che intrigato.

Il figlio di Mike

Non aiuta nella dinamica del film avere dei “cattivi” pallidi che si fa fatica a ricordare.
A rubare davvero la scena è il figlio di Mike, Armando Areta interpretato da Jacob Scipio: un killer silenzioso e letale. Poco da dire, il suo personaggio meriterebbe un film tutto suo.

Fedele a se stesso

Bad Boys: Ride or Die” rimane fedele alla formula che ha reso la serie famosa: azione e battute. Questo mix, che una volta era il cuore pulsante del franchise, ora comincia a mostrare segni di stanchezza. Le battute non hanno più la stessa freschezza e le scene d’azione, pur ben realizzate, non sorprendono.

La strada sembra già tracciata: polizieschi sulla via della senilità, sorte che è già toccata ad Arma Letale (si mormora di un ulteriore capitolo in fase di sviluppo). Ma ad Hollywood, si sa, piace andare avanti e riproporre la stessa formula fregandosene dell’età dei suoi attori. Finchè i fan nostalgici saranno contenti, i Bad Boys non andranno in pensione.

About Author

Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

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