Presentato il film “Le grida del silenzio”. Intervista alla regista Sasha Alessandra Carlesi e gallery della première
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Uscirà Giovedì 10 maggio Le Grida Del Silenzio, l’opera prima di Sasha Alessandra Carlesi che dopo aver esordito in due cortometraggi coprodotti da Azteca Produzioni cinematografiche srl e realizzati con il contributo del Nuovo Imaie, debutta nel lungometraggio.
Il cast, arricchito dalla stessa regista, vede all’opera Alice Bellagamba, Luca Avallone, Ana Cruz, Roberto Calabrese, Manuela Zero, Martina Carletti, Luca Molinari, Beppe Convertini, Roberta Garzia, Lucia Batassa, Giuseppe Laudisa, Angela Pepi.
Esordio coraggioso, questo di Sasha Alessandra Carlesi, che abbandona i luoghi tipici di tanti (troppi) film italiani, per addentrarsi in territori selvaggi e oscuri, tipici di molti B Movies americani, a cominciare da Venerdì 13, che lanciò un genere nel 1980.
Un gruppo di ragazzi della “Roma bene” organizza un week-end “di svago” allo scopo di passare due giorni in mezzo alla natura. Sono veramente soli i sette ragazzi? Le maschere che sapientemente hanno costruito reggeranno di fronte alla paura dell’ignoto?
Ne parliamo con la regista Sasha Alessandra Carlesi.
Ci racconti il tuo percorso professionale approdato poi alla regia del tuo primo lungometraggio?
“Ho iniziato con la recitazione, sono salita per la prima volta sul palco all’età di tre anni. Ma il vero amore è nato durante il corso di drammatizzazione a scuola. Stavamo mettendo in scena “Pinocchio” ed io interpretavo il grillo parlante. Ero timida ma sul palco mi sentivo bene. Decisi che non avrei più smesso di recitare, che sarebbe stato il mio lavoro. Ho studiato per anni recitazione, prima in toscana: Prato, Firenze, poi mi sono trasferita a Roma. Li conobbi quello che adesso è anche il mio produttore: Giuseppe Milazzo Andreani, con lui aprimmo un’associazione culturale, la nostra prima associazione, producevamo spettacoli, short film… Io ben presto iniziai a lavorare come organizzatrice di produzione, organizzatrice generale sui nostri set. Tra un guaio e l’altro la produzione mi ha avvicinato al mondo del cinema, la strada mi ha insegnato a sbagliare il meno possibile perché ogni errore lo pagavamo caro! Ero brava in produzione ma un po’ soffrivo perché a volte in produzione finisci per trascurare il lato artistico delle cose pur di far quadrare i conti. Ho iniziato a spostarmi sempre più spesso verso il lato regia come assistente o aiuto. E da lì, il grande passo! Già scrivevo praticamente da sempre, avevo la sceneggiatura de “Le grida del silenzio” nel cassetto da anni, era solo un cortometraggio. Un bel giorno Andreani venne da me e mi disse “Il corto dei sette ragazzi nel bosco…. allunga la sceneggiatura, ne facciamo un film! E così è stato”.
Ci parli della realizzazione de “Le grida del silenzio”?
“Due anni di lavoro più una fase di pre-casting di circa otto mesi, dopo la prima fase di preparazione siamo tornati sul set tre volte a distanza anche di un anno prima di riuscire a concluderlo, mesi di post-produzione, iniziata e poi interrotta più volte. I problemi erano sempre gli stessi: economici, spesso bisognava aspettare che entrassero altri soldi prima di andare avanti”.
In questo senso è stato difficile produrlo?
“Si, per i problemi che ho detto: ma questi sono i problemi più grossi che si incontrano nel cinema indipendente che purtroppo in Italia non ha aiuti di nessun tipo e per produrre i soldi te li devi trovare centesimo dopo centesimo…”.
Avete girato al Parco Nomentum, a Mentana alle porte d Roma, era la location che volevi? Aneddoti particolari?
In realtà all’inizio volevo una location completamente diversa, pensavo ad una faggeta, la trovavo onirica, fiabesca, inquietante. Ma per motivi di produzione dovevamo restare su Roma e a Roma ovviamente non ci sono faggete. Il Nomentanum è una riserva stupenda, suggestiva. Ci ho messo un pochino per abituarmi all’idea di non avere la mia faggeta ma poi ho capito che un bosco come quello della riserva Nomentanum sarebbe stato più funzionale alla storia e credibile. Chi si accamperebbe mai in una faggeta in cima ad una montagna?”.
Com’è essere una giovane regista in Italia?
“Una bella avventura, nel bene e nel male. Ma ti risponderò tra qualche mese, dopo che il mio film sarà uscito e avrà fatto il suo percorso e mi sarò goduta un po’ meglio questa mia nuova vita da “giovane regista””.
Come hai lavorato con gli attori?
“Il lavoro con gli attori è stata la fase più bella e creativa. Li ho scelti da lunghissime sessione di provini, c’è voluto un sacco di tempo per metterli assieme. Il lavoro con loro è stato pieno di entusiasmo, sono belli, giovani, creativi, umili con tanta voglia di crescere e imparare. Li ho fatti lavorare secondo il mio metodo della “non
recitazione” del “divenire” del “vivere nel personaggio”. Ci siamo divertiti un sacco improvvisando scene della loro vita non presenti in sceneggiatura, abbiamo creato il loro background, gli abbiamo dato un passato. Hanno accolto questa metodologia con entusiasmo, si sono appassionati a questo tipo di approccio e credo sia evidente nel film”.
Cosa vuoi comunicare con questo film? Cosa speri di lasciare allo spettatore una volta spente le luci in sala?
“Spero semplicemente di lasciare delle riflessioni, su tematiche a me care. L’importanza di essere se stessi, per dirne una, ma soprattutto ho voglia di emozionare, semplicemente questo”.
Il momento più difficile e quello più esaltante delle riprese
“Come chiunque si sia apprestato a fare un film non mi sono potuta esimere dal subire invidie, gelosie e cattiverie. C’è stato un momento durante le riprese in cui alcune di queste cattiverie hanno rischiato di minare la sintonia e la magia del rapporto con i miei attori. Sinceramente non ho voluto sapere ne da dove provenissero,
ne perché e nemmeno di cosa si trattasse esattamente, ho evitato di ascoltare e basta, ne soffrivo perché sentivo che l’energia dei miei ragazzi era cambiata ed io facevo più fatica a dirigerli, mi sono un po’ chiusa in me stessa ma ho tenuto duro e anche loro essendo per fortuna persone intelligenti e professionali, piano piano hanno ritrovato il giusto entusiasmo e la solita energia. Non ho mai capito il perché qualcuno avesse cercato di mettermi contro gli attori, ma forse non c’è nemmeno un vero e proprio motivo, purtroppo sono cose che capitano e ripeto, forse non ci si può esimere, fa parte del gioco, è un lavoro che ti espone e bisogna solo imparare ad accettare”.
Il momento più bello?
“L’ultimo ciak, ad un certo punto non ci speravo più…”.
Cosa rappresenta il cinema per te.
“Il cinema è arte ed emozione ed una parte inscindibile di questo mio viaggio sulla terra”.
Tuoi riferimenti cinematografici, i tre film che ti hanno cambiato la vita.
“Ti dirò: Il sesto senso, The other, Venerdi 13… e non ti dirò il perché!”.