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Il mito dei draghi, storia di una creatura senza tempo

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Il mito dei draghi, storia di una creatura senza tempo

Dall’Asia all’Europa, da Giambattista Basile a Tolkien, da Dragonball a Dungeons and Dragons storia dei draghi, creature che non hanno mai smesso di affascinare.

“Non ridere mai dei draghi finché sono vivi”

Scriveva Tolkien, citando un proverbio.

E secondo voi i draghi esistono ancora?

Ovviamente no! Risponderete. Ma io rimanderei le risposte affrettate… e incomincerei la nostra avventura!

Il drago, una creatura leggendaria possente e temibile che permea la cultura, l’immaginario folclorico e la religione di interi continenti; due in particolare: l’Asia e l’Europa.

Il mito del drago affonda le sue radici nella notte dei tempi, forse per la sua natura così strettamente legata alla figura ancestrale del serpente. Ma sebbene in linea di massima sia un grosso rettile, sono innumerevoli le specie in cui la sua razza si può suddividere, che riassumerei al momento con alcuni versi estremamente significativi della prima sigla dei Pokémon, sostituendo questo termine con draghi:

“Viva i draghi/Tosti e prorompenti/Tutti differenti […] /Viva i draghi! /Sempre più frizzanti/Magici e sgargianti […] /Tutti i draghi/Sono straordinari/Mitici avversari/Viva i draghi!”

– Lo so, ho appena fatto scempio della sigla dei Pokémon –

Inoltre, un’altra caratteristica affatto trascurabile di queste creature è che sono come il maiale: di loro non si butta nulla. Vado a spiegarmi meglio: il cuore di drago tiene in vita i moribondi ed è una fantastica cura per la sterilità – come ci spiega Giambattista Basile ne Lo cunto de li cunti – bere sangue di drago fa acquisire la capacità di parlare più lingue, le sue ossa triturate vengono usate per produrre medicinali miracolosi, per non parlare dei denti, dai quali nascono – una volta seminati – dei formidabili guerrieri, come accadde a Cadmo, re di Tebe e a Giasone, durante la ricerca del vello d’oro.

È però fondamentale sapere, che esiste una cesura netta riguardo la concezione che si ha di lui, che si riverbera dalla terra che fu l’antica Mesopotamia. Proprio da quel luogo, questa creatura assume connotazioni positive a est e caratteristiche negative a ovest.

Il drago in Oriente

E partiamo proprio da come l’Oriente considera il nostro “lucertolone” preferito!Il Drago Cinese, complice il ruolo egemone svolto per secoli dalla cultura cinese nei confronti delle altre culture dell’Asia Orientale, funse in buona sostanza da modello per lo sviluppo di figure simili nella mitologia e nel folklore di quelle genti che coabitarono e/o si scontrarono/incontrarono con il blocco culturale cinese. Dunque, parleremo principalmente di costui.

In Estremo Oriente il drago è visto in genere come simbolo di fortuna; esso rappresenta l’essenza primigenia Yang della cosmologia cinese, cioè la riproduzione, la fertilità e l’attività.

I draghi, secondo la cultura cinese, furono la più grande e gloriosa razza che popolò il mondo di migliaia di anni fa, che originò la vita, che per millenni governò le forze della natura – in particolare gli elementi dell’acqua e dell’aria – in attesa che l’uomo crescesse. Inoltre, a sottolineare lo stretto rapporto esistente tra questi e il genere umano, vi sono molte leggende che narrano di grandi e valorosi monarchi divenuti dragoni. Proprio per questa vicinanza degli ancestrali sovrani con i draghi, i Cinesi indicano sé stessi come “Discendenti del Drago”. Parimenti, queste leggende spiegano il perché, sin dall’inizio, il drago sia divenuto simbolo del potere imperiale in Cina salvo poi divenire, già al tempo della Dinastia Qing, simbolo della Cina stessa e del suo popolo. Il trono imperiale cinese era chiamato, non a caso, “Trono del Drago”.

Nel folklore cinese, si ritiene che l’effigie del dragone debba sempre essere rivolta verso l’alto. Sarebbe infatti di cattivo auspicio rivolgere la creatura verso il basso, verso la terra, quasi si volesse precluderle la possibilità di spiccare il volo per librarsi verso i cieli. È poi credenza diffusa che il ricorso al drago quale proprio stemma sia da intendersi come arma a doppio taglio: simbolo di potenza, la creatura può essere usata solo da chi è sufficientemente potente da domarne il sovrannaturale potere. Un debole verrebbe infatti consumato dalla forza stessa del drago di cui vuole servirsi come stemma. Simili considerazioni valgono, al giorno d’oggi, per i cinesi, soprattutto membri di organizzazioni criminali – come la Triade – che decidono di marchiare il proprio corpo con il dragone tramite tatuaggio.

Ma parliamo un momento dell’aspetto del drago orientale. Anche se forse ormai siamo così abituati alla sua immagine da vederlo come una creatura dall’aspetto omogeneo, in realtà il suo corpo è il risultato dell’assemblaggio di parti anatomiche di altri animali. Due sono le spiegazioni più affascinanti per questo fatto: una chiave di lettura vorrebbe il dragone frutto di una contaminazione araldica sull’originario modello del serpente che funse da stemma di Huang Di – l’Imperatore Giallo – da lui arricchito con attributi araldici sottratti agli stemmi dei nemici sconfitti: le corna del cervo, le zampe dell’aquila, ecc.; un’altra chiave di lettura dell’eterogenea natura estetica del drago cinese si rifà allo zodiaco e presenta la creatura come una mescolanza di attributi tipici alle altre undici bestie zodiacali cinesi. Il drago sarebbe dunque dotato dei baffi del topo, del cranio e delle corna del bue, degli artigli e delle zanne della tigre, della pancia del coniglio, del corpo di un serpente, delle zampe di un cavallo, della barba di una capra, dell’arguzia della scimmia, della cresta del gallo, delle orecchie del cane e del muso di un maiale.

Il drago in Occidente

E ora continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del drago, proseguendo verso ovest, fino a giungere nel luogo della famosa frattura della sua figura: tra la Mesopotamia e l’Hindu Kush è come se il mito del drago si fosse “spezzato” in due parti.

Seguendo forse alcuni flussi migratori, riusciamo a risalire a ritroso verso miti che si sarebbero protratti verso il Mediterraneo e altri che avrebbero seguito la strada per le steppe europee e la Scandinavia.

Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a una furia incontrollata, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei. Per difendersi, gli dei nominarono come campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi.

Queste gesta sono narrate nel poema Enuma Elish, risalente, secondo le datazioni più diffuse, al XVIII secolo a.C.

Non è da escludere che uno dei principali canali di divulgazione dell’accezione negativa della figura del drago fu il contatto tra la cultura mesopotamica e quella ebraica durante la Cattività Babilonese.

Presso gli Israeliti il drago come essere maligno sembra una costante, visto sia come una forza primordiale della natura di tempi antecedenti all’arrivo dell’uomo, che come un’incarnazione dell’“Avversario”. Due erano i termini con cui questo animale mitologico veniva indicato: “nachash” e “tannin”. Il primo termine era riservato a mostri marini come il Leviatano – il leggendario rettile nascosto nelle profondità dell’oceano – il secondo indicava anche i serpenti, tra cui potremmo riscontrare pure quello che, nelle Genesi, tenta Adamo ed Eva.

Delle due figure, quella senza dubbio più interessante è quella del Nachash. Ma, ancora più interessante, è ricostruire la sua storia. La prima comparsa di questa creatura è nel Libro di Giobbe, opera di uno sconosciuto autore che fu redatta proprio nel periodo della Cattività Babilonese (VI-V secolo a.C.). In questo senso è possibile che il contatto con la primordiale malevola divinità mesopotamica Tiamat – destinata a combattere il principale dio del pantheon babilonese, Marduk – abbia potuto influenzare e stimolare l’immaginazione dell’autore.

Dopotutto, il Vicino Oriente era la porta dell’Occidente e dei popoli mediterranei; non è difficile immaginare che da lì culti e miti si siano riversati, attraverso vari flussi migratori e commerci, nel bacino del Mediterraneo, influenzandone i popoli.

Sarà presso i Greci che incontreremo, per la prima volta, il termine “drakon” (δράϰων) da cui deriverà l’uso comune per tutto il mondo occidentale. Il lemma, in questo caso, indicava sia un “drago” vero e proprio che un grosso serpente. Non a caso tra i mostri mitologici dell’antica Grecia creature rettiliformi sembrano comparire diverse volte, sempre come antagoniste di divinità ed eroi.

Zeus per primo lottò e sconfisse il terribile Tifone, un immane gigante, con cento teste di drago vomitanti fuoco e dotato di forza straordinaria. Poi venne Apollo che uccise Pitone ed Ercole che ne uccise ben due durante le sue fatiche: l’Idra di Lerna e Ladone, il drago che proteggeva il giardino delle Esperidi. Infine c’è Giasone, che nella conquista del Vello d’Oro nella Colchide, uccise il drago che aveva in custodia la preziosa pelliccia.

Dal retaggio sia giudaico che pagano del bacino del Mediterraneo il Cristianesimo ha ereditato la medesima concezione negativa del drago, che continua a rappresentare il Male. Ma se prima nelle leggende erano dei e prodi eroi a uccidere le malvage creature, ora sono papi e santi; di cui il più famoso è senza dubbio San Giorgio, che in Israele, uccise un drago che terrorizzava la popolazione e salvò la principessa Silene, offertagli in sacrificio.

È curioso come spesso mito e religione si sfiorino; infatti a poche miglia di distanza dalla tomba di San Giorgio, a Giaffa, si narra che Perseo, di ritorno verso casa dopo l’uccisione di Medusa, abbia ucciso un drago marino che stava – guarda caso – per divorare una ragazza offertagli in sacrificio: la principessa Andromeda.

Inoltre il drago, essendo considerato l’incarnazione del male, si fa rappresentazione anche delle sue manifestazioni, come la malattia, le epidemie; cui poi – con il Cristianesimo – si aggiungeranno le eresie.

Ma, come abbiamo accennato, anche nel nord Europa, sin dai tempi più antichi, non mancano miti e leggende che narrano di dei ed eroi che affrontano feroci draghi…facciamo un salto nella mitologia norrena!

Anche qui i draghi sono visti come creature primigenie dall’indole malvagia, distruttrice e avara – non per niente fanno spesso la guardia a un tesoro – ma, a differenza dei loro cugini mediterranei, i draghi delle leggende nordiche sono anche molto intelligenti, furbi e sono in grado di parlare tutte le lingue; capacità di cui si servono per mentire e ingannare.

I più famosi paladini uccisori di draghi delle leggende norrene sono Beowulf – protagonista dell’omonimo poema anglosassone dell’XI secolo – Sigfrido – protagonista della Saga dei Nibelunghi – il dio Odino – padre degli dei nordici – e Thor, suo figlio. Quest’ultimo è legato a una strana profezia che rimanda a Ragnarok: la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l’intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato.

Quando giungerà Ragnarok, Thor morirà dopo aver ucciso il drago Jǫrmungand, esalando l’ultimo respiro per i veleni di questi.

Invece, nell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo, si parla di un dragone e di due bestie con attributi del dragone.

Insomma, è sempre la fine del mondo ma con draghi diversi.

Il drago in araldica

Ed ora che abbiamo parlato lungamente della figura del drago tra Oriente e Occidente, apriamo una piccola, ma interessante parentesi sull’araldica. Perché, non so se ci avete mai fatto caso, ma, tra Medioevo e Rinascimento, è presente in moltissimi blasoni, in posizione rampante e con le fauci spalancate. In tale ambito, questa creatura stava a indicare una casata in ascesa o di nuova nobiltà, contrapposta a creature come leoni e orsi che indicavano un potere già saldo.

I draghi tra letteratura, cinematografia, cartoni animati, anime, manga e giochi

Nell’epoca contemporanea, nonostante siano passati secoli e millenni dalla nascita del suo mito, questa creatura, continua a vivere nella fantasia collettiva. Ne sono testimonianza la mole di libri e film fantasy di cui è protagonista: a partire dagli scritti di Tolkien, per proseguire con Eragon, fino ad arrivare a Le Cronache del ghiaccio e del fuoco, da cui è tratto il celebre Game of Thrones. Ma le viverne di Daenerys Targaryen – ebbene sì, si chiamano così i draghi alati bipedi – non sono gli unici lucertoloni del panorama cinematografico fantasy; chi può dimenticare il pucciosissimo Falkor, il drago della fortuna de La storia infinita? Oppure il commovente Dragonheart… quante lacrime versate ogni volta che lo vedevo!

E poi, ovviamente ci sono i cartoni animati; di cui ricordiamo la saga di Dragon Trainer con Sdentato, la leggendaria “furia buia”. Ma di sicuro, il draghetto più simpatico e famoso è senza dubbio il disneyano Mushu; la cui figura è stata in realtà tratta nel nome, nell’aspetto e nell’indole da un particolare drago della religione babilonese: Mushussu, il piccolo drago compagno del dio Marduk – di cui abbiamo precedentemente parlato – del quale sarebbe stato, a seconda delle tradizioni, la cavalcatura o il suo animale da compagnia. Dunque, quale migliore scelta per gli sceneggiatori Disney, se non ispirarsi a questo drago sui generis?

Ma se vogliamo parlare di draghi particolari nella storia dei cartoni animati, non possiamo non citare l’unico draghetto che, rinnegando la sua natura e facendo disperare suo padre, voleva fare: il pompiereee!

Ovviamente mi riferisco al piccolo Grisù.

Approdando poi nell’universo nipponico di manga e anime, ne citerò due per tutti: Dragonball e Saint Seya – I Cavalieri dello Zodiaco, con Sirio il Dragone.

Quanti ricordi… sniff…

Infine, per terminare la nostra breve scampagnata nell’universo otaku alla ricerca dei draghi, è d’uopo citare sua maestà, il gioco dei giochi, “Lo cunto de li cunti” dei nerd: Dungeons and Dragons (un fascio di luce mistica appare al solo pronunciare il suo nome).

Draghi, realtà o leggenda?

Ma quindi, tornando alla domanda iniziale, i draghi esistono? Sono mai esistiti?

Di sicuro era un falso – ma ci ha fatto sognare per un po’ – il draghetto di Oxford che nel 2004 ha creato scalpore, sollevando per qualche tempo dubbi, facendo vacillare scienziati e comunità scientifiche.

Molto probabilmente, in realtà, il mito del drago è dovuto ai vari rinvenimenti, in Oriente come in Occidente, di fossili di dinosauro e/o di paleofauna che alimentarono, nel corso dei secoli, le leggende su questa creatura.

Ad esempio, gli antichi cinesi si riferivano alle ossa di dinosauro scoperte come “ossa di drago” e le documentavano come tali. Infatti, lo storico Chang Qu nel 300 a.C. documenta la scoperta di “ossa di drago” nel Sichuan, e ancora oggi il termine cinese moderno per dinosauro è scritto come kǒnglóng”“drago terribile” – mentre con il termine “mèi lóng”“drago dormiente” – si indicano i resti di una varietà di dinosauri scoperti in Cina, con il muso posto sotto uno dei loro arti anteriori mentre la coda gira attorno a tutto il corpo.

E poi mi chiedo, ma qualora i draghi fossero esistiti veramente, come avrebbero fatto a sputare fuoco dalle fauci?

In realtà la risposta c’è: con un apparato simile a quello dell’insetto bombardiere che se disturbato espelle in modo esplosivo un miscuglio di sostanze irritanti, prodotte da speciali ghiandole addominali. Dunque, se il drago avesse delle ghiandole nella mascella inferiore che secernono fosforo, qualora contraesse queste ghiandole e spalancasse la bocca, il fosforo si incendierebbe a contatto con l’aria e la saliva, emettendo la tipica fiamma.

Ma tanto i draghi non esistono…basta escludere tutti quei rettili come il drago di Komodo, il drago volante, il drago barbuto ecc.

Dunque, i draghi non esistono o forse esistono, ma non sono come li hanno immaginati i popoli del passato?

Prendete per esempio il basilisco.

Se tutti noi abbiamo in mente il terribile serpentone rinchiuso nella Camera dei Segreti sotto la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ben diversa è la descrizione che ne dà Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. L’autore racconta che l’animale è tipico della Provincia della Cirenaica e che non è più lungo di dodici dita. Un serpentello, quindi, ben lontano dai fasti della Rowling, il cui tratto distintivo è la macchia bianca sulla testa, a mo’ di diadema da cui appunto deriverebbe il suo nome greco, re dei serpenti. Stando a Plinio:

“Col suo sibilo mette in fuga tutti i serpenti, e non muove il suo corpo, come gli altri, attraverso una serie di volute, ma avanza stando alto e diritto sulla metà del corpo. Secca gli arbusti non solo toccandoli, ma col suo soffio, brucia le erbe, spezza le pietre.”

Quanto al suo veleno, non ci sono dubbi sulla mortalità dello stesso visto che si narra che un esemplare fu ucciso da un uomo a cavallo con un’asta e dal veleno salito attraverso di essa non soltanto il cavaliere, ma anche il cavallo furono annientati.

Ora, a parte la licenza poetica su quanto questo basilisco possa essere venefico, non è così improbabile che nella Provincia della Cirenaica, ossia l’attuale Libia ci fossero rettili velenosi la cui figura poi è stata modellata ingigantita e deformata dalla tradizione dei fatti. Visto che persino Catone, quasi tre secoli prima di Plinio, nel suo Bellum Civile narrava dei serpenti del deserto libico e di come guidando i suoi soldati attraverso di esso li avessero attaccati causando la morte di molti dei suoi uomini.

Conclusioni

Forse allora i draghi sono sempre esisti, ci hanno preceduti sulla terra e ora convivono qui assieme a noi, semplicemente non sono come li abbiamo immaginati, o meglio, non lo sono più. Ricordatevelo la prossima volta che vedrete una lucertolina scaldarsi al sole; perché, come Mushu stesso ha detto a Mulan: «Hey, drago! Drago, non lucertola!»

Anche per oggi, il nostro viaggio nel mondo della fantasia è volto al termine. Un caro saluto dalla Madre dei draghi…oops, delle viverne. E alla prossima avventura!

About Author

Sabrina Amato

Sabrina ama l’arte, così tanto da prendersi due lauree per avere ancor più motivi per amarla. Prova un fascino irresistibile per tutto ciò che non conosce, che sia profondo o lontano, e quindi adora l’acqua, nuotare, il mare e gli oceani, ma adora anche le danze orientali e le arti marziali. Nerd con la passione per il vintage, nel tempo libero partecipa come miss agli eventi del Miss Pin Up WW2 e ad ogni Romics come cosplayer. Sa resistere a tutto tranne alle tentazioni, ai gatti, ai cartoni animati e ai libri.

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