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Recensione di “Dracula: L’amore perduto”: l’oscura visione gotica e romantica di Luc Besson

Luc Besson firma un Dracula gotico e romantico: una tragedia visiva sull’amore che sfida i secoli, tra dolore, desiderio

Recensione di “Dracula: L’amore perduto”: l’oscura visione gotica e romantica di Luc Besson

Luc Besson si avventura nel mito di Dracula con Dracula: L’amore perduto, offrendo una rilettura che si distacca dalle convenzioni horror per immergersi in una tragedia romantica gotica. Nel film l’orrore cede il passo a un’esplorazione profonda del dolore, della perdita e di un amore che sfida i secoli.

Un amore che sfida i secoli

La narrazione ci riporta al XV secolo, dove un principe, devastato dalla morte della moglie, rinuncia a Dio e abbraccia l’immortalità come vampiro. Secoli dopo, nella Londra del XIX secolo, incontra una donna che è l’esatta effigie del suo amore perduto. Questa premessa, sebbene non del tutto inedita nel panorama delle trasposizioni di Dracula, viene filtrata attraverso la lente stilistica di Besson, noto per la sua estetica audace e la sua capacità di creare mondi visivamente distintivi. La storia si concentra meno sull’orrore e più sul peso di un’esistenza eterna segnata dal rimpianto e dalla ricerca disperata di un legame perduto.

Il gotico sontuoso di Besson

Besson non risparmia sull’impatto visivo, creando un mondo dove ogni inquadratura è carica di drammaticità e bellezza. Le performance, in particolare quella di Caleb Landry Jones nel ruolo del tormentato principe, sono cariche di intensità, capaci di veicolare il tormento interiore del personaggio. La colonna sonora, curata da Danny Elfman, contribuisce in modo significativo a tessere un tappeto emotivo che amplifica la dimensione tragica della storia.

Dracula sarà un film che divide. Alcuni spettatori ne vedranno solo la forma barocca, altri ne coglieranno la struggente sincerità. L’horror è ridotto all’osso, la violenza sublimata in bellezza visiva. È un film di sensazioni, non di trama.
Si avverte la mano di un autore che ha più bisogno di esprimersi che di convincere. Besson mette in scena un’opera di eccesso e di fragilità, dove l’amore diventa un contagio e la morte un atto di devozione.

Il risultato è un’opera visivamente sontuosa, ma irregolare, un melodramma barocco in cui il sangue è più estetico che viscerale. Il regista costruisce un Dracula solitario, diviso tra l’istinto di predatore e la nostalgia per l’amore perduto. Il tempo, nel film, diventa una malattia: secoli che si ripetono come una condanna, volti che ritornano, amori che si reincarnano senza mai compiersi.

Besson dirige come un pittore ossessionato dalla luce. Ogni inquadratura è pensata come un quadro: rossi intensi, ombre profonde, contrasti netti. C’è molto della sua ambizione visiva, ma anche il rischio di perdersi nella forma. Le scene d’azione convivono con momenti di pura contemplazione in cui la macchina da presa si sofferma su un volto, una lacrima, un riflesso nel sangue.

Eppure, sotto la superficie estetizzante, si percepisce una tensione sincera: la paura della solitudine. Questo Dracula non è un mostro, ma un uomo che non può morire. Il film non riesce sempre a bilanciare pathos e ritmo, ma rimane un oggetto anomalo, profondamente romantico. Quante volte abbiamo visto su grande schermo la storia di Dracula? Besson firma un film forse non necessario, imperfetto ma appassionato, in cui il terrore nasce dal desiderio – e dal tempo che non guarisce mai.

About Author

Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

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