Recensione di “Tutto l’amore che serve” esordio di Anne-Sophie Bailly: il diritto di amare
Recensione di "Tutto l'amore che serve" esordio di Anne-Sophie Bailly: il diritto di amare.

“Tutto l’amore che serve”: quando fa bene separare ciò che sembra inscindibile
“Tutto l’amore che serve“, primo lungometraggio della regista francese Anne-Sophie Bailly, nelle sale il 19 giugno, è l’ennesimo prodotto incentrato sulle dinamiche familiari – negli ultimi due mesi la relativa filmografia si è fatta decisamente copiosa – ma assume contorni diversi laddove si spinge ad analizzare la difficile, e quasi simbiotica, relazione tra una madre ed un figlio affetto da un ritardo cognitivo.
Nella prima parte del film i protagonisti appaiono un unicum inscindibile, proprio come i due iconici pappagallini di casa (non a caso il titolo originale è “Mon inséparable“), salvo prendere nella seconda parte strade diverse ma in fondo coincidenti. Sì, perchè entrambi, quasi contemporaneamente, conoscono l’amore: lui per una coetanea e compagna di lavoro più o meno nelle stesse condizioni di disabilità (fino a metterla incinta), lei – un matrimonio naufragato alle spalle – per un uomo di origine belga conosciuto casualmente in un locale.
E’ un inequivocabile segnale di divaricazione ma ben lontano dall’essere rappresentato nella narrazione come un dramma: la regista rivendica infatti a madre e figlio, questi inizialmente osteggiato dal padre della ragazza nel suo proposito di non rinunciare alla paternità e di crearsi una famiglia, il diritto di vivere le proprie vite e di amare, fino a concepire la separazione come una benefica iniezione di fiducia in se stessi.
Océane e l’Antartide
L’aspirazione di Joel, il giovane coprotagonista, ad una piena autonomia nonostante la propria disagiata condizione, sembra trovare una metaforica evocazione nel nome della sua amata (Océane), nonché nel suo sogno ad occhi aperti di conoscere l’Antartide: due immagini di luoghi sconfinati che paiono appunto richiamare il suo inappagato desiderio di ritagliarsi ampi spazi di quella libertà che a nessuno può essere negata.
In questo contesto non appare affatto casuale che lui scompaia alla vista della madre durante una kermesse in territorio belga, prodromo atteso ed attendibile di un’emancipazione annunciata.
Interpreti all’altezza
Laure Calamy, attivissima nel cinema d’oltralpe, e Charles Peccia Galletto, meno conosciuto e qui quasi una scoperta, offrono interpretazioni più che convincenti, diretti da una regista che affronta con sensibilità e senza accenti patetici un tema delicato come quello della disabilità, rivestendolo di sfumature decisamente insolite e per questo molto intriganti. Senza abiurare quell’essenzialità che è caratteristica inconfondibile ed imprescindibile del cinema francese.