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Recensione di “The Last Showgirl”, diretto da Gia Coppola. Pamela Anderson e la fine dei sogni

Recensione di "The Last Showgirl", diretto da Gia Coppola. Pamela Anderson come non l'avete mai vista, in un dramma

Recensione di “The Last Showgirl”, diretto da Gia Coppola. Pamela Anderson e la fine dei sogni

Cosa resta di una showgirl quando le luci si spengono? The Last Showgirl, diretto da Gia Coppola, ci porta nel cuore malinconico di Las Vegas per raccontare la storia di Shelly, veterana del palcoscenico interpretata da una inaspettatamente intensa Pamela Anderson. Un film che non cerca il colpo di scena, ma la verità nelle crepe della gloria passata.

Un racconto intimo e dolente che richiama le atmosfere di The Wrestler, ma senza i suoi picchi drammatici. Eppure, trova nella sottrazione e nella delicatezza la sua forza più sincera.

Pamela Anderson: un’interpretazione fuori dagli stereotipi

Per anni ingabbiata nell’immaginario pop legato al suo corpo e alla sua immagine, Pamela Anderson firma qui la sua prova più matura. Interpreta Shelly con un’intensità sommessa, costruita su sguardi, silenzi, fragilità. Il film le affida ogni scena chiave e lei non delude: si prende il centro del racconto senza mai sovraccaricarlo.

La sua Shelly è una donna che ha dato tutto allo spettacolo e che si ritrova a fare i conti con il tempo che passa, con l’identità smarrita, con il futuro che non ha mai pianificato. Un ritratto femminile che riesce a evitare la retorica del riscatto facile, preferendo un tono più realistico, quasi documentaristico.

Questa performance potrebbe facilmente essere definita una rinascita artistica. Ma sarebbe più corretto dire che è finalmente l’occasione per vedere Pamela Anderson davvero, oltre l’icona.

Jamie Lee Curtis: eleganza e malinconia

Accanto a lei, Jamie Lee Curtis brilla nel ruolo di Annette, amica e collega di lunga data. È sua una delle scene più memorabili del film: una danza solitaria nel vuoto di un casinò sulle note di Total Eclipse of the Heart. Non c’è dialogo, solo il corpo che parla, in una sequenza che sintetizza perfettamente la poetica del film: la bellezza della decadenza, la dignità nel congedo.

Curtis riesce a essere potente con la sottrazione, regalando una delle sue interpretazioni più intense e coraggiose degli ultimi anni. Un personaggio secondario che diventa, per pochi minuti, l’anima silenziosa di tutta la narrazione.

Un film costruito con grazia

Gia Coppola conferma una sensibilità registica già emersa in precedenza, scegliendo un tono dimesso, calibrato, quasi sommesso. La sua regia non cerca l’eccesso: si muove tra le quinte, negli sguardi fuori scena, nei gesti quotidiani.

La fotografia gioca con il contrasto tra l’abbagliante estetica degli spettacoli e la desaturazione dei momenti privati. I corridoi dietro il palco, i camerini, le luci fredde del mattino su Las Vegas diventano luoghi carichi di significato.

Tuttavia, la scelta di uno stile così trattenuto porta con sé anche dei limiti. Il film, pur costruito con grazia, manca a tratti di mordente emotivo. La sceneggiatura introduce dinamiche interessanti, come il rapporto conflittuale tra Shelly e la figlia Hannah (Billie Lourd), ma non le approfondisce davvero. Alcune sottotrame sembrano accennate e poi lasciate andare, e il finale arriva troppo velocemente, lasciando l’impressione di una storia che poteva e doveva durare qualche battuta in più.

Il ritratto di un mondo che scompare

Il film è anche una riflessione lucida su un mondo dell’intrattenimento che sta scomparendo. Gli spettacoli tradizionali di Las Vegas, quelli con piume, costumi sfarzosi e coreografie d’altri tempi, stanno lasciando il passo a forme più moderne e redditizie. The Last Showgirl racconta questo cambiamento senza nostalgia stucchevole, ma con una malinconia sincera.

Shelly non è un personaggio da salvare: è una donna che cerca di ridefinirsi, in un mondo che non ha più posto per lei. La sua battaglia è silenziosa, personale, universale.

Il film evita volutamente toni predicatori o nostalgici, ma riflette con intelligenza sul significato del cambiamento, dell’identità professionale e personale, e sull’età che avanza in un sistema che premia la giovinezza come valore assoluto.

Con una durata contenuta di 85 minuti, The Last Showgirl è un film asciutto, che preferisce lasciare sospesi piuttosto che chiudere tutto in modo rassicurante. Eppure, nonostante qualche fragilità narrativa e un finale affrettato, alcuni momenti del film restano impressi nella memoria.

Non tanto per ciò che racconta, ma per come lo fa. Per la dignità del suo sguardo. Per la scelta di mettere al centro donne mature, complesse, lontane dagli stereotipi. Per la capacità di evocare un intero mondo con piccoli gesti e dettagli che dicono molto più delle parole.

Un film imperfetto, sì, ma (forse) necessario. Perché ci ricorda che anche quando cala il sipario, c’è ancora una storia che vale la pena raccontare.

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Giovanni Lembo

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