Recensione di Strange Darling, scritto e diretto da JT Mollner: un thriller che gioca con il pubblico e sovverte le regole
Recensione di Strange Darling, scritto e diretto da JT Mollner: un thriller che gioca con il pubblico e sovverte

Ci sono film che seguono le regole, e poi ci sono quelli che le ribaltano, costringendoci a guardare la storia da una prospettiva completamente nuova. Strange Darling, diretto da JT Mollner, rientra decisamente in questa seconda categoria. Girato interamente in 35mm, con un’estetica che richiama il cinema anni ’70 e un montaggio che spezza la narrazione in un puzzle da ricostruire, il film è un thriller feroce che non solo inganna lo spettatore, ma lo costringe a confrontarsi con i propri pregiudizi.
Quella che sembra la classica caccia tra preda e predatore è, in realtà, una partita molto più sottile, in cui ogni certezza viene sgretolata poco alla volta.
Un thriller… a pezzi
Strange Darling non segue una narrazione lineare, ma è diviso in sei capitoli presentati in ordine scomposto. Non è un semplice vezzo o esercizio stilistico: il montaggio non solo crea tensione, ma gioca attivamente con le percezioni del pubblico, fornendo informazioni nel momento in cui possono avere il massimo impatto.
La trama ruota attorno a due personaggi principali: una donna, interpretata da Willa Fitzgerald, e un uomo, interpretato da Kyle Gallner. Li incontriamo nel bel mezzo di una situazione disperata: lei è in fuga, sanguinante, terrorizzata, mentre lui la insegue armato. La scena grida thriller classico a pieni polmoni, ma è solo l’inizio di un gioco ben più pericoloso.
Chi è la vera minaccia?
Il vero colpo di genio di Strange Darling sta nella sua capacità di sfruttare le convenzioni cinematografiche per ingannare lo spettatore. Il film si diverte a sovvertire la classica dinamica vittima-carnefice, ma lo fa in un modo che ci costringe a riflettere su quanto siamo condizionati dai cliché del genere.
C’è un momento chiave nella storia (che non rovineremo con troppi dettagli) in cui il film mette a nudo il potere dei pregiudizi: vediamo un personaggio utilizzare abilmente il suo ruolo sociale per ottenere fiducia e protezione. È una scena potentissima perché funziona grazie a un codice che tutti riconosciamo e accettiamo senza pensarci troppo.
È un cortocircuito perfetto, che fa emergere una riflessione più ampia sulla nostra percezione del pericolo e sulla maniera in cui il cinema stesso ci ha addestrati a riconoscere la vittima e il carnefice.
Una regia che inganna l’occhio
Dal punto di vista visivo, Strange Darling grida anni ’70 da ogni fotogramma. La scelta del 35mm dona alla pellicola una texture sporca e realistica, che si sposa perfettamente con il tono crudo della storia. Giovanni Ribisi, qui alla direzione della fotografia, utilizza contrasti cromatici intensi per costruire un’atmosfera densa e tesa: i rossi saturi e i blu profondi degli interni si contrappongono alla luce brutale e sovraesposta degli esterni, contribuendo a creare un senso di spaesamento costante.
Il montaggio di Christopher Robin Bell è un altro punto di forza: ogni scena è costruita con una precisione chirurgica, rivelando o celando informazioni al momento giusto per mantenere alta la tensione. Lo spettatore è costantemente spinto a riconsiderare la storia, a mettere insieme i pezzi di un puzzle che cambia forma ogni volta che sembra essere completato.
Con Strange Darling, JT Mollner firma un thriller che inganna, seduce e poi colpisce con forza, sfruttando la nostra familiarità con il genere per metterci di fronte ai nostri stessi pregiudizi. Grazie a una narrazione frammentata, una regia ricercata e due interpretazioni magnetiche, il film si impone come una delle sorprese più interessanti degli ultimi anni.
C’è voluto un po’ perché arrivasse al cinema (il film è del 2023), ma adesso che è in sala sarebbe un vero delitto perderselo: Strange Darling è una visione obbligata. Ma ricorda: nulla è come sembra.