Recensione di “Nottefonda”, opera prima di Giuseppe Miale Di Mauro
Recensione di "Nottefonda", opera prima di Giuseppe Miale Di Mauro.

Notte a Napoli in “Nottefonda”, esordio sul grande schermo di Giuseppe Miale Di Mauro
Ciro è un elettricista napoletano che fa vita notturna, portando con sé in macchina il figlio mentre si arrangia in lavoretti di poco conto. Eh sì, perché si rifiuta ostinatamente di praticare il suo mestiere da quando si è visto portar via la moglie da un incidente provocato da un pirata della strada, a bordo di un’automobile rossa. Proprio quella che ostinatamente, ogni notte, cerca di individuare. E nella sua disperazione si fa di crack, tirando fuori di tanto in tanto dal portaoggetti una pistola pronta per essere rivolta contro se stesso.
“Nottefonda“, opera prima di Giuseppe Miale Di Mauro, prodotta da Mad Entertainment con Rai Cinema, in uscita l’8 maggio, è liberamente tratta da un romanzo scritto da lui stesso, La strada degli americani. Un viaggio nel dolore, nella difficoltosa elaborazione del lutto da parte di un uomo che sceglie di vivere di notte non senza motivo: il buio in cui si muove è lo stesso che è sceso dentro di lui.
Padre e figlio
Il rapporto tra papà Ciro e il figlio Luigi (i due interpreti sono tali anche nella realtà) è tale da configurare una vera inversione di ruoli: il primo non è esente da atteggiamenti quasi infantili, il secondo dispensa grani di saggezza che sono propri di un genitore attento. Fino alla rivelazione finale che qui ci si guarda bene dall’anticipare, ma che reca con sé un messaggio di speranza. Alla notte, del resto, non può che seguire l’alba, anzi per dirla alla maniera eduardiana “… ha da passà ‘a nuttata“.
Un esordio convincente
Il regista non ha certo difettato di coraggio nel convertire in film il suo stesso romanzo, pur con i dovuti aggiustamenti. E lo ha fatto con mano piuttosto sicura, senza nulla concedere ad un pietismo di maniera.
Gli esterni girati alla periferia di Napoli, zona portuale, sono quanto mai adatti a riprodurre la bolla di cupezza in cui annaspa il protagonista. Francesco Di Leva (lo ricordiamo tra l’altro ne Il sindaco del rione Sanità tratto dall’omonimo lavoro teatrale di Eduardo) regge egregiamente il ruolo assegnato, spalleggiato dal figlio Mauro e da un cast di buon livello con menzione speciale per Adriano Pantaleo che esordì all’età di nove anni, nella classe del maestro Paolo Villaggio, in Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller.
Foto: Mario Schiano