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Recensione di “Missione Impossible: Final Reckoning”: l’ultima acrobazia di Ethan Hunt

Recensione di "Missione Impossible: Final Reckoning" diretto da Christopher McQuarrie: l'ultima acrobazia di Ethan Hunt.

Recensione di “Missione Impossible: Final Reckoning”: l’ultima acrobazia di Ethan Hunt
Una riflessione un po’ nostalgica un po’ critica su Missione Impossible: Final Reckoning, capitolo conclusivo di una saga che ha ridefinito il concetto di spettacolo cinematografico
Ci sono eroi che invecchiano, si stancano, cedono il testimone. E poi c’è Tom Cruise. Dopo quasi trent’anni nei panni di Ethan Hunt, l’attore sessantenne sfida ancora una volta la gravità, il tempo e le aspettative in quello che viene presentato come l’ultimo capitolo della saga di Mission Impossible. Un addio che, come spesso accade con i grandi franchise, si carica di aspettative, nostalgia e un inevitabile senso di malinconia.
Forse abbiamo sempre dato un po’ per scontata questa saga, come un appuntamento fisso nel calendario delle nostre vite cinematografiche. Bastava aspettare e Tom sarebbe tornato, puntuale, a convincerci che valeva la pena tornare in sala per assistere alle sue acrobazie, diventate di puntata in puntata sempre più ardite, sempre più folli, sempre più al limite dell’impossibile. E ora che siamo giunti al presunto finale, ci rendiamo conto di quanto sia difficile lasciar andare.

Un inizio che fatica a decollare

Final Reckoning si apre con un’ambizione smisurata: collegare tutti i fili narrativi dei precedenti sette film in un unico grande disegno. Un’operazione che, sulla carta, potrebbe sembrare affascinante, ma che nella pratica risulta macchinosa e appesantisce notevolmente la prima ora del film.
La minaccia questa volta è “l’Entità”, un’intelligenza artificiale malvagia introdotta nel precedente capitolo, che sta manipolando informazioni e mettendo le potenze mondiali l’una contro l’altra. Per fermarla, Ethan Hunt deve recuperare un dispositivo da un sottomarino russo affondato nelle profondità oceaniche.
Questa prima parte del film è caratterizzata da dialoghi sussurrati, tensioni melodrammatiche e un tono incredibilmente sobrio che contrasta con lo spirito avventuroso che ha sempre contraddistinto i migliori capitoli della saga. È come se Christopher McQuarrie, regista e co-sceneggiatore, fosse così preoccupato di dare un senso compiuto all’intera saga da dimenticare ciò che l’ha resa grande: il perfetto equilibrio tra spettacolo, umorismo e tensione.

Il riscatto dell’azione

Fortunatamente, quando l’azione finalmente prende il sopravvento, il film cambia marcia in modo impressionante. La sequenza subacquea all’interno del sottomarino Sevastopol è un autentico gioiello di tensione e narrazione visiva. Incredibilmente claustrofobica, intricata e mozzafiato, rappresenta lo stato dell’arte del cinema d’azione contemporaneo. È qui che il film respira, che trova la sua ragion d’essere, che ci ricorda perché abbiamo amato questa saga.
La sequenza aerea finale, con Cruise aggrappato all’ala di un vecchio biplano, è altrettanto impressionante dal punto di vista tecnico, anche se forse meno riuscita sul piano narrativo. È mostruosa da realizzare, pazzesca anche solo da immaginare (considerando che è stata girata dal vero, senza controfigure), ma non riesce a generare la stessa tensione emotiva della sequenza subacquea.

L’uomo contro il digitale

Ciò che emerge con forza da Final Reckoning è il suo messaggio anti-AI e scettico nei confronti della tecnologia digitale. Cruise sta ripetendo la sua richiesta di un’esperienza cinematografica autentica, su grande schermo. C’è qualcosa di profondamente metaforico nel vedere Tom Cruise, a sessant’anni suonati, combattere contro un’intelligenza artificiale che minaccia di sostituire la realtà con simulazioni digitali. È la battaglia dell’uomo contro la macchina, dell’analogico contro il digitale, dell’autenticità contro l’artificio. È, in un certo senso, la battaglia personale di Cruise contro un’industria cinematografica sempre più dominata dagli effetti speciali digitali.

Il confronto con la saga

Come si colloca Final Reckoning nel pantheon di Mission Impossible? Non è certamente il capitolo più riuscito della saga.
Il primo film di De Palma aveva una freschezza e un’eleganza che nessun sequel è mai riuscito a replicare. Mission Impossible 2 di John Woo era eccessivo e stilizzato, ma innegabilmente divertente. Il terzo capitolo di J.J. Abrams ha introdotto un elemento emotivo che ha dato nuova profondità al personaggio di Hunt. Ghost Protocol di Brad Bird ha rilanciato la saga con un’energia e un’inventiva sorprendenti. Rogue Nation e Fallout di McQuarrie hanno perfezionato la formula, offrendo il perfetto equilibrio tra azione, intrigo e caratterizzazione.
Final Reckoning sembra invece un film troppo consapevole di essere l’ottavo capitolo di una saga storica. Il ripetere il suo essere collegato a tutti gli altri film della saga è sicuramente un bel cenno ai fan più accaniti, ma considerando la durata di quasi tre ore e la relativa mancanza di importanza che questi momenti hanno per il film nel suo complesso, non è chiaro cosa McQuarrie e Cruise stessero cercando di ottenere.
Uno dei richiami che funziona davvero, però, è il ritorno di William Donloe, il povero impiegato della CIA dalla cui postazione Ethan rubò la lista NOC nel lontano 1996. Il suo ruolo in Final Reckoning è azzeccato: è un personaggio significativo per Ethan e l’IMF, che parla anche dei temi del film: le nostre vite sono la somma delle nostre scelte.

La regia di McQuarrie

McQuarrie conferma di essere un regista capace di orchestrare sequenze d’azione di rara potenza visiva. La sua regia è precisa, muscolare, attenta ai dettagli. Sa come costruire la tensione, come dosare i tempi, come sfruttare al meglio le location esotiche che fanno da sfondo alle avventure di Hunt.
Tuttavia, in questo capitolo finale, sembra mancare quella scintilla che aveva caratterizzato i suoi lavori precedenti. La colonna sonora roboante fa di tutto per convincerci che questo sia un gran finale, una riflessione definitiva sul valore delle missioni impossibili e dei sacrifici di Ethan. McQuarrie prova perfino ad alzare il tiro con un accenno di retorica politica, invocando l’unione dei popoli e la fine delle divisioni tra nazioni.
Un aspetto positivo è che, a differenza del film precedente, Final Reckoning riesce a dare a ogni membro del team un ruolo importante nel finale. Questo è fondamentale per l’IMF, perché è meno divertente quando Ethan corre in giro facendo tutto da solo. Una fiducia incrollabile nella sua squadra è sicuramente parte del fascino di Ethan.

Un addio nostalgico

Missione Impossible: Final Reckoning non è magari quel blockbuster perfetto che forse ci aspettavamo – ma quello, per quando mi riguarda, Tom ce l’ha già regalato con Top Gun: Maverick. È un film imperfetto, a tratti ridondante, autocelebrativo e improbabile, ma è anche sincero, generoso e visivamente ambizioso.
C’è qualcosa di profondamente nostalgico nel vedere Tom Cruise salvare il mondo per l’ennesima volta. È come se una parte di noi non fosse ancora pronta a lasciar andare l’agente Hunt, a vederlo sparire nell’ombra, così come vivono e muoiono gli eroi che amiamo.
In un’epoca in cui il cinema d’azione è sempre più dominato dagli effetti digitali, c’è qualcosa di commovente nella dedizione di Cruise alla causa dello spettacolo “reale”. Una dedizione tanto folle quanto ammirevole, che ha prodotto alcuni dei momenti più elettrizzanti del cinema contemporaneo.
Se questo è davvero il capitolo conclusivo delle imprese spericolate di Tom Cruise in giro per il pianeta (cosa di cui, onestamente, dubito), allora Final Reckoning è un addio dignitoso. Forse non raggiunge i picchi assoluti della saga, ma ci va vicino. Il suo narcisismo è, in fondo, meritato. O quantomeno, è un eccesso che si può perdonare a chi ha messo in gioco la propria incolumità per regalarci spettacoli tanto spettacolari.
Alla fine, mentre i titoli di coda scorrevano, mi sono sorpreso a provare un senso di gratitudine. Gratitudine per una saga che ci ha accompagnato per così tanto tempo, che ha saputo reinventarsi e rimanere rilevante in un panorama cinematografico in continua evoluzione. Gratitudine per Tom Cruise, che a sessant’anni suonati continua a spingersi oltre i limiti del possibile per il nostro intrattenimento.
Missione Impossible: Final Reckoning non è un capolavoro, ma è un degno finale per una delle saghe più longeve e amate della storia del cinema. E forse, in fondo, è proprio questo che conta.
About Author

Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

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