Recensione di “A Complete Unknown”: Dylan imbraccia la chitarra elettrica ma non emoziona
“A Complete Unknown”: Dylan imbraccia la chitarra elettrica ma non emoziona, intrappolato in una cornice senza picchi emotivi.

Il cinema biografico, quando incontra figure come Bob Dylan, si carica di un peso immenso: raccontare non solo una vita, ma un’intera rivoluzione culturale. James Mangold, regista esperto nel dipingere ritratti complessi (Walk the Line, Le Mans ’66), tenta l’impresa con A Complete Unknown, ma il risultato è un film che sembra smarrirsi nelle sue stesse ambizioni. Nonostante una performance straordinaria di Timothée Chalamet nei panni di Dylan, il film manca di mordente, di emozione e, soprattutto, di quella scintilla ribelle che ha reso il musicista una leggenda.
Un Dylan impeccabile, ma intrappolato in una cornice senza picchi emotivi
Timothée Chalamet è, senza dubbio, un perfetto Dylan. La sua capacità di trasformarsi nel giovane musicista è sorprendente: dal tono di voce al modo di camminare, dal fascino magnetico alle sfumature più introverse dell’artista, Chalamet ci consegna un ritratto (fin troppo) perfetto. Il fatto che abbia cantato le canzoni personalmente aggiunge una dose di autenticità maggiore.
Eppure, nemmeno una performance così riuscita riesce a salvare il film dalla sua struttura vacillante. La sceneggiatura manca di ritmo e di una visione chiara: si muove tra episodi frammentati senza mai costruire una vera e propria tensione narrativa. Si percepisce una certa piattezza emotiva, come se il film avesse paura di osare o di esplorare più in profondità gli aspetti controversi e affascinanti del giovane Dylan.
Il film introduce figure femminili fondamentali nella vita di Bob Dylan, come Joan Baez e Suze Rotolo, interpretate rispettivamente da Monica Barbaro e Elle Fanning. Entrambe le attrici offrono performance intense e convincenti, riuscendo a trasmettere la complessità e il fascino di queste donne che hanno influenzato profondamente il percorso artistico e personale di Dylan. Tuttavia, nonostante la loro bravura, i personaggi femminili rimangono in secondo piano, relegati a semplici figure di supporto nella narrazione.
Il film si limita a dipingerle come muse ispiratrici o presenze fugaci nella vita del protagonista, senza approfondire realmente il loro impatto e il loro punto di vista. Questo approccio impoverisce la dimensione emotiva della storia, privandola di sfumature che avrebbero potuto arricchirla ulteriormente.
Un viaggio narrativo privo di picchi
James Mangold sceglie un approccio che potremmo definire “sobrio”, nel raccontare i primi anni di Dylan: dal suo arrivo a New York al momento cruciale del Newport Folk Festival del 1965, quando il cantautore abbracciò la chitarra elettrica, dividendo pubblico e critica. Questo periodo della vita di Dylan è intriso di conflitti, trasformazioni e scelte radicali, ma il film sembra incapace di trasmettere il fermento di quel momento storico.
Mangold si concentra sui dettagli quotidiani della vita del protagonista, tralasciando però i grandi eventi emotivi o simbolici che potrebbero rendere il film più avvincente. La narrazione episodica, pur fedele ai fatti, dà l’impressione di assistere a una serie di frammenti scollegati, senza un crescendo emotivo che porti a un climax memorabile. Anche i momenti cruciali – come la svolta elettrica di Dylan – non riescono a scuotere lo spettatore o a restituire la carica dirompente di quel gesto.
Una confezione impeccabile, ma senz’anima
Dal punto di vista tecnico, A Complete Unknown è un’opera raffinata. La fotografia di Phedon Papamichael è nostalgica e calda, un omaggio agli anni ’60 che si sofferma su dettagli visivi con meticolosità. Le scenografie ricreano alla perfezione l’atmosfera della New York bohémien e del mondo musicale di quegli anni, mentre i costumi aggiungono un ulteriore strato di autenticità.
Tuttavia, questa perfezione visiva non riesce a compensare la mancanza di profondità emotiva. Il film sembra più interessato a riprodurre fedelmente il contesto storico che a raccontare una storia che tocchi davvero il cuore dello spettatore. Bob Dylan è stato un simbolo di rottura, di ribellione, di cambiamento, ma tutto questo rimane ai margini del racconto, soffocato da una regia troppo timida per esplorare le complessità della sua figura.
A Complete Unknown è un’opera visivamente curata e tecnicamente impeccabile, ma priva del coinvolgimento e dell’energia che un soggetto del genere avrebbe meritato. Un’occasione sprecata per raccontare uno degli artisti più influenti del XX secolo.