Recensione di “28 anni dopo” di Danny Boyle: la rabbia sopravvive nel tempo
Recensione di "28 anni dopo" di Danny Boyle: la rabbia sopravvive nel tempo nel primo capitolo di una nuova

28 anni dopo segna il ritorno di Danny Boyle al mondo post-apocalittico che lui stesso ha plasmato all’inizio degli anni 2000, ma il film ora al cinema non si limita a riproporre la formula vincente del primo capitolo, ma la espande e la trasforma in qualcosa di più ambizioso e visivamente sorprendente.
LEGGI IL RESOCONTO DELLA CONFERENZA STAMPA CON DANNY BOYLE PROTAGONISTA
Ambientato quasi tre decenni dopo l’epidemia del virus della rabbia, il film ci porta in un’Inghilterra isolata dove un gruppo di sopravvissuti ha creato una comunità su un’isola collegata alla terraferma da un’unica strada. Un padre e un figlio si avventurano all’esterno per una missione e questo innesca una catena di eventi e scoperte che cambierà per sempre il loro mondo.
Innovazione per una nuova esperienza di terrore
Ciò che inizialmente colpisce è l’approccio visivo di Boyle, che utilizza un formato panoramico incredibile. Se 28 giorni dopo era stato girato in miniDV in 4:3 – era stato uno dei primi film ad utilizzare queste videocamere, ricordo che si era all’alba della rivoluzione digitale – per 28 anni dopo Danny Boyle ha continuato a sperimentare, includendo l’uso simultaneo di decine di iPhone, droni e supporti speciali, per un’esperienza che amplifica la tensione e il terrore.
Le sequenze con gli infetti, in particolare, traggono beneficio da questa estetica sperimentale, con la macchina da presa che si muove freneticamente tra gli spazi, costringendo lo spettatore a scrutare continuamente l’inquadratura alla ricerca di minacce. Ma 28 anni dopo non è solo un esercizio di stile.
Boyle e lo sceneggiatore Alex Garland, riuniti dopo anni di collaborazioni di successo, infondono nella storia una profonda riflessione sulla società contemporanea. Il film utilizza l’horror come pretesto per esplorare temi come l’isolazionismo (con evidenti riferimenti alla Brexit), la rabbia sociale che permea il nostro quotidiano e la tensione tra guardare al passato e costruire un futuro diverso.
Le interpretazioni di Aaron Taylor-Johnson, Ralph Fiennes, Jodie Comer e del giovane Alfie Williams aggiungono profondità emotiva a un film che, nonostante l’impianto apocalittico, si concentra sui personaggi e sulle loro relazioni. Particolarmente efficace è la dinamica padre-figlio al centro della narrazione, che diventa metafora del conflitto tra conservazione e progresso.
Il primo capitolo di una nuova (possibile) trilogia
Boyle non nasconde le sue ambizioni: questo non è solo un sequel, ma il primo capitolo di una nuova trilogia in cui ogni film sarà autonomo. E se questo primo capitolo è indicativo della direzione, possiamo aspettarci un’evoluzione del genere horror che va ben oltre i jump scare e la violenza gratuita, per offrire una riflessione inquietante sulla natura umana e sulla società contemporanea.
Con questo film bellissimo e attuale, Boyle non si limita a regalare spaventi, grandi scene di tensione e intrattenimento di alto livello, ma lo invita a riflettere su cosa significhi davvero essere “infetti” in un mondo dove la rabbia è diventata parte integrante della nostra quotidianità.