Recensione de “L’isola degli idealisti” di Elisabetta Sgarbi, liberamente ispirato da Scerbanenco
Recensione de "L'isola degli idealisti" di Elisabetta Sgarbi, liberamente ispirato da Scerbanenco: una trasposizione deludente.

Nel 1942 Giorgio Scerbanenco, scrittore molto fecondo e noto soprattutto come giallista, scrive L’isola degli idealisti ma il manoscritto resta inedito fino a quando viene recuperato dall’archivio familiare e dato alle stampe di recente. A questo romanzo si è “liberamente” ispirata – come da lei stessa puntualizzato – Elisabetta Sgarbi nel film omonimo che sarà nelle sale il prossimo 8 maggio.
Due ladri da redimere
La vicenda di per se stessa non è particolarmente complessa: due topi d’albergo, un uomo e una donna, braccati dalla polizia, approdano su di una non meglio identificata isola lacustre. Qui vive, in splendido isolamento, una famiglia benestante che occupa una villa smisurata immersa in nebbie perpetue.
I componenti di questo singolare nucleo, con in testa il patriarcale Antonio spalleggiato dall’enigmatico figlio Celestino, decidono di accollarsi un insolito compito: rieducare i due fuggiaschi tenendoli reclusi nelle stanze della loro residenza. E probabilmente proprio a questo meritorio (ed illusorio) tentativo di redenzione dal crimine è dovuto il titolo del libro e della pellicola derivata.
Nè un giallo né un noir
Non è dato sapere (lo scrivente ammette di non conoscere il libro di Scerbanenco) quanto libera sia stata nell’occasione l’ispirazione della regista rispetto all’originale, ma nella sostanza non ci si trova di fronte ad un noir pur essendocene le pretese, né ad un giallo classico perché sulla poltroncina non si sussulta di sconcertata sorpresa neanche un istante.
E’ forse un tentativo di riprodurre immagini, situazioni ed ambienti di viscontiana memoria? Se così fosse, sarebbe senz’altro una semplice velleità: i personaggi difettano clamorosamente di spessore e mai emergono da una disarmante piattezza.
Momenti di comicità involontaria
Di questo film, più vicino ad una fiction televisiva – e neppure delle migliori – che ad un vero prodotto cinematografico non si sa davvero cosa salvare. Si sfiorano tra l’altro momenti di comicità involontaria nel tratteggiare alcuni caratteri, a partire da un improbabile e macchiettistico commissario di polizia. E non si può evitare di sorridere, o forse di mettersi le mani nei capelli, quando all’avvenente ladra viene diagnosticata una patologia gravissima e senza speranza.
Salvo poi ritrovarla in splendida forma nel finale.
Nel cast compaiono tra gli altri Renato Carpentieri, Tommaso Ragno e Michela Cescon, visti in altre circostanze a livelli sicuramente diversi. Qui non danno il meglio di sé, invischiati come sembrano in una recitazione poco più che accademica, forse influenzata da ambizioni registiche che non colgono nel segno.
Foto: Simona Chioccia