Recensione de “Il capo del mondo” di Salvo Campisano: si può ridere della mafia?
Recensione de "Il capo del mondo" diretto e interpretato da Salvo Campisano, in uscita in tre sale per la

“Il capo del mondo” investe nel cinema
Può un regista siciliano di belle speranze ed alla ricerca affannosa di finanziamenti rifiutare una corposa offerta per produrre un film in territorio siculo? Certamente no… e se il denaro in questione proviene dal dichiarato tirapiedi di un boss mafioso? Allora ni…
Questo l’esordio de Il capo del mondo diretto da Salvo Campisano e prodotto da Green Film, in programmazione in sole tre sale esclusivamente il 23 maggio (Catania, Urbino e Pescara), per essere disponibile sulle principali piattaforme streaming dopo il 30.
Sottolineano i produttori che la pellicola é stata realizzata senza il minimo contributo governativo, registrando già da ora il tutto esaurito nei cinema sopracitati. La data di uscita non è assolutamente casuale, coincidendo con la giornata della legalità istituita in memoria di Giovanni Falcone.
Tornando alla trama: i fondi generosamente stanziati dallo scherano in nome e per conto del suo capo autorizzano il regista designato ad agire in totale autonomia? No, naturalmente: é costretto ad avvalersi dell’improbabile sceneggiatura scritta da un attempato spacciatore, nonché di una sgangherata troupe reclutata nella cerchia di Cosa nostra locale, del tutto all’oscuro di tecniche di lavorazione di un film. Né sfugge alla logica prevaricatrice dell’improvvisato produttore l’imposizione della colonna sonora, cantata in napoletano da un immancabile picciotto e completamente estranea alla vicenda e all’ambiente in cui si svolge.
Eppure quest’infinita serie di coercizioni non basta a disarmare il regista, perché é troppo innamorato del suo lavoro per arrendersi. Salvo portare a termine il film in maniera autonoma quando l’ingerenza mafiosa avrà raggiunto un livello intollerabile per la sua coscienza.
Si può ridere della mafia?
A questa pellicola non sono estranei echi de La mafia uccide solo d’estate di Pif, ormai un autentico cult nel genere, nonché di Boris – tanto la serie quanto il film – nella demenzialità di molte situazioni. Si eccepirà che Cosa nostra di per sé non è argomento esilarante, ma Campisano, come lo stesso Pif del resto insegna, dimostra che ridicolizzare un nemico mortale contribuisce a demolirlo dalle fondamenta, soprattutto quando se ne svela impietosamente il becero volto subculturale che costituisce la sua caratteristica più saliente.
Un finto documentario
Il capo del mondo é stato realizzato interamente con la tecnica del finto documentario – o mockumentary per chi preferisce gli anglicismi – utilizzando un montaggio molto serrato e ricco di piani sequenza che veridicamente riproducono le tre fasi di lavorazione di una pellicola cinematografica.
Campisano, anche protagonista, é più che convincente. Ma meritevole di menzione é Turi Condorelli nei panni dello sgherro del boss (attenzione alla rivelazione finale che qui non si anticipa): nel fisico un Joe Pesci con qualche decennio in meno sulle spalle, di cui mutua con successo movenze recitative che richiamano alla memoria il Tommy di Quei bravi ragazzi.
Il cinema indipendente é ben vivo e prodotti come questo ne sono una gradita conferma.