Recensione de “Il Bambino di Cristallo” con Zachary Levi: la fragilità che insegna a vivere
Il Bambino di Cristallo racconta la straordinaria storia vera di Austin LeRette, un ragazzo affetto da osteogenesi imperfetta e
Un padre che lotta con i suoi demoni, un figlio che affronta il mondo con un sorriso indistruttibile, una famiglia che cerca di tenersi insieme nonostante le avversità. Il Bambino di Cristallo (The Unbreakable Boy), diretto da Jon Gunn, è una storia di resilienza e amore incondizionato, ispirata alla vita reale di Austin LeRette.
Basato sul libro autobiografico The Unbreakable Boy: A Father’s Fear, a Son’s Courage, and a Story of Unconditional Love, scritto dal padre di Austin, Scott Michael LeRette, il film porta sul grande schermo una testimonianza intima di crescita, accettazione e speranza. Attraverso le difficoltà di una malattia rara e le sfide di un rapporto padre-figlio, il film cerca di trasmettere un messaggio universale: la vera forza non sta nell’assenza di fragilità, ma nella capacità di affrontarla con amore e coraggio.
Un’esplosione di gioia nonostante le avversità
L’anima del film è senza dubbio Jacob Laval, che interpreta il giovane Austin. Affetto da osteogenesi imperfetta, una malattia genetica che rende le ossa fragilissime, e da autismo, Austin potrebbe essere visto come un bambino vulnerabile, ma la sua realtà è ben diversa: è un’esplosione di gioia, curiosità e positività, un piccolo eroe che insegna agli altri come affrontare la vita. Laval porta sullo schermo un personaggio autentico, evitando qualsiasi eccesso melodrammatico e rendendo Austin un protagonista vivo e credibile.
Zachary Levi, nei panni di Scott LeRette, offre una performance complessa. Il suo personaggio è imperfetto, a tratti frustrante, alle prese con la difficoltà di essere un buon padre mentre cerca di gestire i propri problemi personali. La sua crescita emotiva è uno degli archi narrativi più interessanti del film, anche se la sceneggiatura tende talvolta a semplificare il suo percorso interiore.
Meghann Fahy interpreta Teresa, la madre di Austin, con sensibilità e intensità. Il suo ruolo, purtroppo, non è sempre sviluppato a dovere, ma rimane un elemento essenziale nella dinamica familiare. Completano il cast Peter Facinelli, nei panni del Pastore Rick, una figura di sostegno morale, e Drew Powell nel ruolo dell’amico immaginario Joe, un’aggiunta interessante che dona al film una dimensione più onirica e simbolica.
L’universo di Austin
Jon Gunn sceglie un approccio registico che alterna realismo e immaginazione. Per rappresentare il mondo attraverso gli occhi di Austin, utilizza sequenze animate, effetti visivi stilizzati e cambiamenti sonori che immergono lo spettatore nella percezione unica del protagonista. Queste scelte, pur non sempre perfettamente integrate nella narrazione, donano al film una dimensione visiva particolare che lo distingue dai classici drammi familiari.
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