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Dalla Bibbia alla Apple: storia della “mela”

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Dalla Bibbia alla Apple: storia della “mela”

Dalla Bibbia alla Apple: storia della “mela”, il frutto protagonista di eventi storici, fiabe ed episodi religiosi e mitologici

La mela è un frutto antichissimo.

In realtà è un falso frutto…

Zan zan zan!

So che non ve lo aspettavate, ma la parte della mela che noi mangiamo di gusto, non è il vero frutto, perché quello in realtà, si riduce esclusivamente al torsolo, decisamente poco commestibile.

Lo so, la verità è crudele… ma nel linguaggio comune e nel nostro articolo, potremo comunque riferirci a Lei chiamandola frutto, nessuno si offenderà per questo.

Anche perché questo pomo ha segnato la cultura e la religione dell’Europa intera e dell’Asia.

Colta, lanciata, morsa, trafitta, rubata, contesa, caduta; la mela è stata protagonista di eventi storici, fiabe ed episodi religiosi e mitologici.

E anche avulsa da storie e aneddoti, la cultura dei vari popoli l’ha sempre considerata imbevuta di valenza simboliche.

Se una mela al giorno toglie il medico di torno – proverbio la cui origine risale al Galles del XVIII secolo – con questo articolo starete a posto per almeno un mese!

Ma bando agli indugi e si dia inizio alle danze.

La mela, frutto originario dell’Asia Centrale, coltivato già nel Neolitico – 6000-3500 a. C. – si è diffuso, attraverso il Medio Oriente, prima in Egitto lungo la valle del Nilo e, successivamente, in Grecia. Grazie alle conquiste dell’Impero Romano giunse in Occidente e da qui, in tutta l’Europa continentale. Nel Medioevo, i contadini e i monaci europei producevano numerose qualità di mele, in seguito, durante l’Età Moderna la coltura del melo si diffuse nell’America settentrionale, in Australia e in Nuova Zelanda.

La mela nell’antica Grecia

Nella Grecia antica la mela rappresentava la fecondità. Gli sposi infatti, durante la cerimonia, erano soliti compiere un gesto simbolico: mangiare insieme una mela. Si pensava che questo rito avrebbe favorito la fertilità della coppia.

E sempre nell’antica Grecia, lanciare una mela equivaleva a una dichiarazione d’amore o era un chiaro invito per un convegno amoroso. Testimonianze di tale usanza si trovano nell’opera teatrale Le nuvole di Aristofane (450-385 a. C.) e nei Dialoghi delle cortigiane di Luciano di Samosata (120-180 d. C.). Nel primo caso si consiglia ai giovani di non frequentare i bordelli perché “mentre, a bocca aperta, guardano una qualche bella prostituta, lei potrebbe coinvolgerli gettando loro una mela”; nel secondo, invece, una cortigiana si lamenta perché il suo amante “getta la mela ad altre” piuttosto che pensare a lei.

Questo mi fa ripensare al cartone di Aladdin della Disney: nel loro primo incontro, Aladdin fa gentilmente rotolare una mela nelle mani di Jasmine, mentre quando quest’ultima diviene prigioniera di Jafar, il gran visir la costringe a porgergli la mela che tiene tra le mani.

Non penso che queste corrispondenze siano casuali…

La simbologia della mela vista come unione perfetta di due persone viene ripresa anche da Platone (428-348 a. C.) che nel Simposio racconta come un tempo l’uomo e la donna erano una cosa sola, perfetti e bellissimi, ma Zeus, invidioso, li divise in due e li destinò a cercarsi per tutta la vita. Trovandosi l’un l’altra avrebbero riacquistato l’antica perfezione perduta. E da qui ha origine l’espressione “la mia dolce metà”.

Dunque non è così strano se per le nozze di Era con Zeus, Gea, la madre di quest’ultimo, regala alla nuora un albero su cui crescevano rigogliose delle mele d’oro – riprese poi nella fiaba russa L’uccello di fuoco – che donavano l’immortalità a chi le avesse mangiate, sito in un giardino incantevole e lussureggiante posto oltre le colonne d’Ercole, i confini occidentali del mondo allora conosciuto: il giardino delle Esperidi.

Queste mele prodigiose non sapete quanto si sono rivelate determinanti in famosissimi racconti mitici.

Premetto che ufficialmente il giardino era off limits praticamente per chiunque, sorvegliato dalle sette ninfe Esperidi e dal ferocissimo drago Ladone, messo a esclusiva guardia dell’albero dalle mele d’oro.

Beh, evidentemente questa sorveglianza faceva un po’ acqua da tutte le parti, visto che, a parte Eracle che durante la sua undicesima fatica riesce a ottenerle direttamente da Atlante – padre delle Esperidi – Afrodite ne coglie tre per darle a Ippomene – un giovane innamorato della bella Atalanta, che avrebbe sposato chi l’avrebbe battuta nella corsa, usandole per distrarre la fanciulla durante la gara e vincere – e la dea Eris ne ruba un’altra, la più famosa, quella che verrà ricordata come “il pomo della discordia”. Sto parlando della mela d’oro che condusse alla guerra di Troia.

Faccio un brevissimo riassunto di come sono andati i fatti:

Re Peleo e la ninfa del mare Teti invitano al loro banchetto nuziale tutte le divinità, eccetto quella della discordia, Eris – e abbiamo già visto con Malefica, ne “La bella addormentata”, che non invitare una creatura dotata di poteri soprannaturali a un evento mondano non è mai una buona idea – che, ovviamente, ne rimane dispiaciuta e decide di vendicarsi facendo la cosa che le riesce meglio: seminare discordia. Quindi ruba una mela d’oro, vi scrive sopra “alla più bella” e la lascia rotolare sulla tavola del banchetto, al che le tre dee più belle dell’Olimpo si sentono tirate in causa e vogliono che venga stabilito chi di loro sia la più meritevole del pomo. Zeus, il re degli dei, molto diplomaticamente se ne lava le mani, scaricando la patata-mela bollente a un giudice super partes: Paride, capraio che vive sul monte Ida che non sa ancora di essere figlio di Priamo, re di Troia, scampato alla morte che lo attendeva da neonato perché una profezia aveva detto che avrebbe decretato la rovina della sua patria.

Ovviamente il mini concorso di bellezza divina si svolse in modo regolare: ognuna delle tre partecipanti offrì qualcosa per corrompere il giudice: Era gli promise ricchezza e poteri immensi, Atena lo avrebbe reso sapiente e imbattibile in guerra, Afrodite gli avrebbe concesso l’amore di Elena, la donna più bella del mondo.

E per voi a chi può aver dato la mela un adolescente con gli ormoni a mille che passa tutta la sua giornata su un monte sperduto circondato dalle capre?

Bene, avete capito.

Da lì ne seguì il rapimento di Elena e…tutto il resto è Troia.

La mela nella cultura nordica

Un altro giardino in cui crescono mele che donano l’immortalità si trova in ambiente celtico, custodito dalla dea scandinava Iduna; anche se, vi è un’isola leggendaria ben più famosa legata a questo mitico frutto: Avalon.

L’isola di Avalon – di cui ho già parlato nell’articolo dedicato alle fate – che appare nel ciclo delle leggende arturiane, fa la sua prima apparizione nel Historia Regum Britanniae dello storico Geoffrey di Monmouth, del 1136.  In questo resoconto sulla storia dei Re Britannici, Monmouth descrive Avalon come il luogo in cui venne forgiata Excalibur e dove re Artù fu portato a guarire dalla fata Morgana dopo la battaglia di Camlann. In questo suo primo testo Monmouth si riferisce ad Avalon come Insula Avallonis, mentre nel successivo – Vita Merlini, del 1148 c.a. – la definirà Insula Pomorum: l’isola delle mele. Etimologicamente si fa risalire l’origine del nome Avalon alle antiche lingue Corniche e Bretoni. In Gallese, per esempio mela era pronunciata “abal”, mentre il melo era aball, per poi evolvere nel Gallese Medio – tra il XII ed il XIV secolo – in “aval” ed “avall”. Nell’antica lingua Bretone, invece, mela era “aval” e “avaloù” al plurale. Secondo lo scritto di Monmouth:

“L’ isola delle mele è chiamata dagli uomini isola della fortuna, perché essa gli regala i suoi generosi doni sotto forma di mele, uva, bacche ed altre erbe che permettono all’uomo di vivere oltre i cent’anni. Gli antichi poeti la descrissero come un Paradiso, per la fecondità delle sue terre.”

Inoltre, la leggenda di Avalon potrebbe derivare da leggende celtiche ancor più antiche, in cui l’isola allora chiamata Emain Ablach, rappresentava il mondo dell’aldilà. In questo caso Ablach – che significa “ricco di alberi di melo” – deriva dall’Irlandese antico aball – mela, appunto – simile al Gallese antico abal, parola che veniva utilizzata nelle traduzioni delle gesta arturiane dal Francese al Gallese per indicare proprio Avalon. Ognuna di queste derivazioni trova l’origine nell’antica radice proto-indoeuropea “Aballo-abal”, da cui deriva l’inglese apple.

La mela quindi continua ad avere uno stretto legame con un giardino paradisiaco posto ai confini del nostro mondo, a volte identificato con l’Aldilà.

La mela nella Bibbia

Dunque non possiamo ora non parlare del giardino da cui, proprio a causa di una mela, siamo stati esiliati tanto tempo fa: l’Eden.

Qui cresceva un albero particolare, anzi, due; ma preferisco lasciare la parola alla Genesi 2, 8-9 e 15-17:

“Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e quivi pose l’uomo, che aveva formato; e il Signore Iddio fece germogliare dal suolo ogni specie di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del male.”

“E dette all’uomo quest’ordine: «Tu puoi mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, poiché se tu ne mangerai, di certo morrai».”

Ma sappiamo come sono andate le cose… è come quando qualcuno ti dice: non pensare a un pesce rosso; da quel momento in poi tu pensi solo ed esclusivamente a quel benedetto pesce rosso.

Diciamo che la permanenza dell’Uomo nell’Eden è stata breve, ma intensa.

Però, siamo sicuri che il frutto con cui il serpente ha tentato Eva fosse veramente una mela? Perché in realtà il suo nome non viene mai rivelato.

E allora come mai in qualsiasi opera si rappresenti questo nefasto momento, il serpente porge sempre ad Eva una mela?

Perché nel Medioevo gli amanuensi scrivevano in latino, ma si era andata perdendo la distinzione tra vocali lunghe e vocali brevi; ed ecco che “male” – in latino mălum con la a breve – poteva essere confuso con “mela” – in latino mālum con la a lunga – e comunque anche l’omofonia giocava tremendamente a vantaggio di questa identificazione.

Molto più ragionevolmente, il frutto proibito, potrebbe essere il fico, visto che viene espressamente detto che coprirono la propria nudità con le sue foglie e, personalmente, se una persona scoprisse improvvisamente di essere nuda, immagino che attingerebbe alle foglie dell’albero più vicino.

Invece, se rimaniamo coerenti al pensiero finora analizzato di varie culture dell’antichità, che hanno sempre considerato la mela fonte di immortalità ed eterna giovinezza, ritengo sarebbe molto più plausibile immaginare piuttosto l’albero della vita come un melo.

Ma queste sono solo mie considerazioni.

La potenza allegorica della mela

Dunque, facendo un piccolo riepilogo, la mela simbolicamente allude alla bellezza, intesa anche come desiderio carnale, alla fecondità, alla vita eterna – non per nulla i russi sulle tombe dei loro defunti depongono mele invece dei fiori – e conoscenza; infatti alla mela viene attribuito questo significato anche per il fatto che, se tagliata nel verso perpendicolare all’asse del peduncolo, vi si può vedere un pentacolo, tradizionale simbolo del sapere, disegnato dalla disposizione stessa dei semi.

Inoltre, per merito della sua forma sferica e della presenza, al suo interno, dei semi – considerati principio vitale – la mela, dall’impero romano in poi, ha simboleggiato anche il cosmo e il potere imperiale; infatti, nelle apparizioni pubbliche e nei ritratti ufficiali, gli imperatori reggevano con la mano destra lo scettro e con la sinistra la mela d’oro, allegoria del potere, che verrà sovrastata dalla croce con l’assurgere del Cristianesimo a religione ufficiale. Le prime attestazioni risalgono al periodo tra il 395 e il 408 d.C. (lo si trova, infatti, sul lato posteriore delle monete dell’imperatore bizantino Arcadio).

D’altra parte nel videogioco Assasin’s Creed ciò che tutti bramano sono le sei Mele dell’Eden, create dalla Prima Civilizzazione – Homo Sapiens Divinus, un’antica e importante civiltà di esseri antropomorfi che abitò il pianeta Terra – con lo scopo di controllare la mente degli umani. Costruite con un leggerissimo e resistentissimo metallo di origini sconosciute, esse fungevano anche da arma, registro e fonte di conoscenza.

La mela nelle fiabe

Approdando nell’incantato mondo delle fiabe, riecheggiano i significati che fino ad ora abbiamo visto attribuire alla mela.

La vediamo portatrice di salute e immortalità nella Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù ne Le Mille e una Notte, metafora di una bellezza perfetta perché uscita dall’adolescenza è appena giunta a maturazione – un po’ come espresso nel film Il tempo delle mele – in Biancaneve, al contempo novella Afrodite ed Eva, che addenta il frutto simbolo della raggiunta conoscenza – maturità sessuale – e bellezza femminile, falso, venefico e mortale perché ingannevolmente offertole dalla strega, incarnazione del male.

Fino a giungere alla fiaba La ragazza mela di Italo Calvino in cui la bellezza e la “maturità” femminile si incarnano nel simbolo stesso: la mela.

Infine non posso non ricordare con affetto e nostalgia la Melevisione, un bellissimo programma televisivo che ha reso ancor più allegra la mia infanzia, che mostrava le avventure delle creature fantastiche che vivevano nel Fantabosco, in particolare intorno al chiosco di bibite di un simpatico folletto che aveva una televisione che faceva vedere cartoni animati se nutrita con delle ottime mele.

La mela “Carpe Diem”

Anche se fino ad ora abbiamo visto l’azione di cogliere e addentare una mela avvolta da un’aura negativa e nefasta, vi assicuro che può avere anche accezioni positive; come quella di cogliere l’occasione, l’attimo, vivere momenti effimeri che passeranno in fretta e non torneranno più come canta il “menestrello” Angelo Branduardi in “Cogli la prima mela”.

Un concetto espresso anche dalla frase “dare un morso alla Grande Mela”. Con Grande Mela ci si riferisce alla città di New York; ma perché le è stato attribuito questo appellativo?

Nel 1909 lo stato di New York viene paragonato ad un melo, con le radici nella valle del Mississippi e il frutto a New York. Questa definizione è riproposta da un cronista sportivo negli anni Venti e infine, negli anni Settanta, viene canonizzata da una campagna pubblicitaria che si riferisce a New York proprio con l’appellativo “la Grande Mela”

La mela tra scienza e informatica

Questa metafora di cogliere un’occasione allettante, unita al desiderio di possedere un’immensa conoscenza non accessibile a tutti, condita con un eccitante pizzico di trasgressione è il mix effervescente che dà vita al logo della Apple realizzato nel 1977 da Rob Janoff – cui si devono i loghi di IBM, FedEx, Volkswagen e CNBC – per Steve Jobs. Questo logo ribadiva il concetto di scoperta e conoscenza espresso dal precedente logo – raffigurante il famoso episodio, ormai divenuto aneddoto, di come Isaac Newton aveva tratto l’ispirazione per la sua teoria sulla gravitazione universale, assistendo alla caduta di una mela dall’albero – unito alla metafora di entrarne in possesso in modo semplice come mordere una mela; con tutti gli accattivanti riferimenti biblici che questa metafora sottende. Inoltre viene a crearsi un simpatico gioco di assonanze tra “bite” – la parola inglese che significa morso – e byte, l’unità di misura usata per esprimere la quantità di spazio che un file o un dato occupa su un disco fisso, su Internet o altrove.

A volte, erroneamente, si pensa che il logo Apple sia un omaggio ad Alan Turing, padre dell’informatica, suicidatosi – in seguito alla condanna per omosessualità, punita con la castrazione chimica mediante assunzione di estrogeni – mordendo una mela che lui stesso aveva avvelenato con del cianuro, conferendo un triste tocco fiabesco alla sua dipartita.

Ma come mai il povero Alan Turing, per suicidarsi, ha iniettato del cianuro nella mela, quando quest’ultima già lo contiene naturalmente?

Ebbene sì! lo sapevate? Ma non temete, solo i semi contengono un composto chiamato amigdalina, una molecola a base di cianuro e zucchero. Se il seme viene masticato e rotto, gli enzimi umani entrano in contatto con l’amigdalina e con la parte zuccherina della molecola, esponendo lo stomaco al velenoso acido cianidrico. E allora perché Turing non ha semplicemente mangiato la mela con i semi?

Perché ciascun seme contiene una quantità minima di cianuro e per uccidere un uomo adulto accorerebbe masticarne ed ingerirne mezza tazza…decisamente più laborioso, meno gustoso, ma soprattutto meno principesco.

La mela nell’arte

Ma la mela, oltre a tutti i significati mirabolanti attribuitigli finora, è anche sinonimo di quotidianità; un frutto comune, banale, semplice, e persino umile: così lo interpretavano nelle loro opere pittori come Paul Cézanne e René Magritte.

Anche se l’artista che ha fatto della mela la sua modella, la sua musa, il costante elemento identificativo e l’icona simbolica della sua produzione artistica è il pittore contemporaneo Vanni Vannini, che dagli anni Settanta decide di dedicarsi anima e corpo a questo frutto proprio perché affascinante ricettacolo di una miriade di significati simbolici che si sono accumulati e stratificati con il passare dei secoli.

Siamo ormai giunti alla fine di questo articolo alla scoperta della mela, ma se volete un breve riepilogo, vi consiglio caldamente di ascoltare Eden di Rancore!

Breve momento nerd

Il mio ultimissimo pensiero – da nerd quale sono – non può che andare a un vero appassionato di mele, un esserino dolcissimo e coccolone… ovviamente mi sto riferendo al più amato dio della morte dell’universo otaku: lo shinigami Ryuk di Death Note, che ha una vera è propria dipendenza da questi frutti. Molto dà da pensare il fatto che si nutra proprio di colei che simbolicamente ha decretato la “morte” dei nostri progenitori Adamo ed Eva…

Conclusioni

E a tal proposito, vi saluto con una frase dello scrittore Mark Twain:

“Adamo era semplicemente un essere umano, e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva soltanto perché era proibita. Lo sbaglio fu di non proibirgli il serpente; perché allora avrebbe mangiato il serpente.”

About Author

Sabrina Amato

Sabrina ama l’arte, così tanto da prendersi due lauree per avere ancor più motivi per amarla. Prova un fascino irresistibile per tutto ciò che non conosce, che sia profondo o lontano, e quindi adora l’acqua, nuotare, il mare e gli oceani, ma adora anche le danze orientali e le arti marziali. Nerd con la passione per il vintage, nel tempo libero partecipa come miss agli eventi del Miss Pin Up WW2 e ad ogni Romics come cosplayer. Sa resistere a tutto tranne alle tentazioni, ai gatti, ai cartoni animati e ai libri.

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