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MONTEROTONDO: Lettera alla Gelmini da parte dell’istituto Giovaglioli

Segui Email Circa un anno fa, in un corso di formazione, il prof. Baldacci ci regalò un po’ di

Circa un anno fa, in un corso di formazione, il prof. Baldacci ci regalò un po’ di chiarezza sui concetti di competenza e di curricolo in una bella lezione in perfetto stile accademico. Una collega chiese come si potesse conciliare un lavoro così concepito con la complessità della quotidianità scolastica, costellata da contingenze che la trasformano sempre di più in un percorso a ostacoli. Il professore rispose distinguendo una situazione ideale e una reale. L’ideale sarebbe una scuola che articola la sua attività formativa in aula, in laboratori e in contesti extrascolastici. La situazione reale è ben diversa: gran parte dell’attività formativa si svolge in aule per lo più adattate per tale funzione, male attrezzate e prive delle fondamentali caratteristiche fisiche necessarie all’assolvimento di questa; spesso la classe è in compagnia di gruppi di altre classi rimaste orfane dei loro insegnanti per i quali non è più possibile chiamare un supplente.
Il professore continuò dicendo che spesso queste contingenze sono alibi perfetti per giustificare la diffidenza con cui parte del contingente docente accoglie modelli o costrutti pedagogici nuovi. Eppure si può e si deve innovare anche in un’aula scolastica
piccola, brutta e poco attrezzata nella quale si può giocare, manipolare, osservare, riflettere, risolvere e scoprire. Si può lavorare con una didattica laboratoriale senza avere un laboratorio. Si possono simulare contesti d’uso dove osservare gli alunni senza
compiere uscite didattiche oramai troppo costose a carico delle famiglie.
E’ vero. Ci si può, o ci si deve, accontentare. Un bravo insegnante può farlo. Ma la domanda che adesso è da porsi è se tutto questo sia giusto.
Ci sentiamo presi in giro da una politica schizofrenica che sulla carta attribuisce un valore strategico alla formazione e che nella realtà la sta condannando a morte certa, togliendole risorse umane ed economiche, sia direttamente che indirettamente.
Ci hanno dato l’autonomia, ci hanno chiesto responsabilità e verificabilità dei risultati raggiunti nell’ottica del miglioramento continuo del sistema ma poi parlano di classifiche di merito fra scuole.
Ci chiedono di perseguire il successo formativo per ogni singolo alunno ma li aumentano di numero nelle classi e diminuiscono il monte orario annuale.
Scrivono direttive sul benessere organizzativo, ma ci costringono a lavorare in ambienti poco salubri e poco funzionali, spesso in compagni di topi e scarafaggi, per non parlare dell’aspetto estetico della quasi totalità delle scuole.
Ci obbligano a formarci per salvaguardare la sicurezza nostra e dei nostri alunni, ma ci impongono la divisione delle classi, l’aggiunta di banchi e sedie fin davanti alle porte, l’uso di attrezzature vecchie e maltenute.
Ci chiedono l’utilizzo delle nuove tecnologie, ma nella scuola ci sono ancora solo lavagne e gessi bianchi, i fortunati hanno quelli colorati, quelli rossi invece sono introvabili (“e guai ad abusarne, bambini, non li dobbiamo sprecare, altrimenti non ne abbiamo più!”).
Ci raccomandano lo studio della seconda lingua ma stanno togliendo gli insegnanti specialisti.
Ci dicono che il bambino è al centro del processo formativo ma a coloro che non si avvalgono dell’insegnamento di Religione Cattolica non è più assicurata la materia alternativa.
Ci definiscono professionisti della formazione poi ci pagano come impiegati di basso livello e ci offendono con campagne denigratorie sui mezzi di comunicazione di massa.
Infine, ed è la cosa che ci fa indignare di più, lodano le scuole private e danno loro soldi pubblici.
La motivazione è senz’altro il nostro salvagente. Sembriamo l’equipaggio di una barca che galleggia a fatica in un mare tempestoso nonostante le numerose falle aperte.
Ma i successi sempre più esigui, a causa delle difficili condizioni di lavoro ,ci stanno spingendo sul fondo del mare.
Siamo professionisti della scuola e non volontari d’oratorio. La qualità ha un valore. Uno Stato che vuole disegnare una scuola nuova deve essere disponibile ad investire risorse economiche cospicue, “un capitale invisibile”, citando G. Gozzer. L’alternativa
sarà una scuola priva di mezzi che diventerà sempre più strumento di selezione, ma non di merito, incapace di promuovere in tutti l’acquisizione delle competenze essenziali per l’esercizio del diritto di cittadinanza.
E’ questo che vogliamo?
Gli ulteriori tagli del personale docente e le soppressioni dei posti a pensionamento, costringono ad un continuo smembramento di classi ed accorpamento di alunni ad altri gruppi, con nuova crescita del numero di bambini in ogni classe, in barba alle vigenti
norme sulla sicurezza e ai diritti di integrazione e di sviluppo delle capacità, degli alunni diversamente abili. Ricordiamo che leggi come la 517/77 e la successiva legge Quadro 104/92, nonché la 148/90, sono state in questi decenni il fiore all’occhiello
della scuola italiana a livello europeo elevandone l’altissima qualità riconosciuta ovunque; ora tutto è stato e continua ad essere stravolto.
Mai come adesso, però gli organismi predisposti chiedono alla scuola pubblica risultati ottimali sempre più verificabili. E purtroppo non è ancora a tutti chiaro su che base, con quali metodi e sistemi ciò possa avvenire.
I tagli del personale ATA, sia amministrativo che dei collaboratori scolastici, costringono ormai ad un lavoro sempre più serrato e pesante tale personale, a fronte di un’opinione pubblica diffusa che lo considera un carrozzone non indispensabile da tirarsi dietro. Chi ha veramente esperienza di scuola non può non rendersi conto dell’essenzialità di detto personale per l’impegno e il supporto continuo e sostanziale e per la preziosa interazione con gli alunni.
Un’ultima riflessione. La qualità della scuola non è materia che interessa solo chi è preposto ad erogare il servizio, ma dovrebbe interessare in misura maggiore chi, di quel servizio usufruisce, quindi la cosiddetta utenza, ovvero la totalità della popolazione.
Ebbene la popolazione è come addormentata, estranea a problemi che sembrano circoscritti al taglio dei posti di lavoro del personale della scuola. E’ proprio il momento allora che la scuola si riappropri della sua funzione divulgando, attraverso le forme
più varie, le problematiche che condizionano negativamente i modi e i tempi di erogazione di un servizio che, nel contesto europeo, è visto come strategico per la ripresa e la crescita, anche e soprattutto economica, dei paesi membri.
La scuola dello Stato è di tutti e per tutti. Difendiamola!
Monterotondo 17/06/2011 Il personale dell’Istituto Comprensivo
“R. Giovagnoli” di Monterotondo

Riceviamo e pubblichiamo Circa un anno fa, in un corso di formazione, il prof. Baldacci ci regalò un po’ di chiarezza sui concetti di competenza e di curricolo in una bella lezione in perfetto stile accademico. Una collega chiese come si potesse conciliare un lavoro così concepito con la complessità della quotidianità scolastica, costellata da contingenze che la trasformano sempre di più in un percorso a ostacoli. Il professore rispose distinguendo una situazione ideale e una reale. L’ideale sarebbe una scuola che articola la sua attività formativa in aula, in laboratori e in contesti extrascolastici. La situazione reale è ben diversa: gran parte dell’attività formativa si svolge in aule per lo più adattate per tale funzione, male attrezzate e prive delle fondamentali caratteristiche fisiche necessarie all’assolvimento di questa; spesso la classe è in compagnia di gruppi di altre classi rimaste orfane dei loro insegnanti per i quali non è più possibile chiamare un supplente.

Il professore continuò dicendo che spesso queste contingenze sono alibi perfetti per giustificare la diffidenza con cui parte del contingente docente accoglie modelli o costrutti pedagogici nuovi. Eppure si può e si deve innovare anche in un’aula scolastica piccola, brutta e poco attrezzata nella quale si può giocare, manipolare, osservare, riflettere, risolvere e scoprire. Si può lavorare con una didattica laboratoriale senza avere un laboratorio. Si possono simulare contesti d’uso dove osservare gli alunni senza compiere uscite didattiche oramai troppo costose a carico delle famiglie.

E’ vero. Ci si può, o ci si deve, accontentare. Un bravo insegnante può farlo. Ma la domanda che adesso è da porsi è se tutto questo sia giusto. Ci sentiamo presi in giro da una politica schizofrenica che sulla carta attribuisce un valore strategico alla formazione e che nella realtà la sta condannando a morte certa, togliendole risorse umane ed economiche, sia direttamente che indirettamente.

Ci hanno dato l’autonomia, ci hanno chiesto responsabilità e verificabilità dei risultati raggiunti nell’ottica del miglioramento continuo del sistema ma poi parlano di classifiche di merito fra scuole.

Ci chiedono di perseguire il successo formativo per ogni singolo alunno ma li aumentano di numero nelle classi e diminuiscono il monte orario annuale. Scrivono direttive sul benessere organizzativo, ma ci costringono a lavorare in ambienti poco salubri e poco funzionali, spesso in compagni di topi e scarafaggi, per non parlare dell’aspetto estetico della quasi totalità delle scuole. Ci obbligano a formarci per salvaguardare la sicurezza nostra e dei nostri alunni, ma ci impongono la divisione delle classi, l’aggiunta di banchi e sedie fin davanti alle porte, l’uso di attrezzature vecchie e maltenute.

Ci chiedono l’utilizzo delle nuove tecnologie, ma nella scuola ci sono ancora solo lavagne e gessi bianchi, i fortunati hanno quelli colorati, quelli rossi invece sono introvabili (“e guai ad abusarne, bambini, non li dobbiamo sprecare, altrimenti non ne abbiamo più!”). Ci raccomandano lo studio della seconda lingua ma stanno togliendo gli insegnanti specialisti. Ci dicono che il bambino è al centro del processo formativo ma a coloro che non si avvalgono dell’insegnamento di Religione Cattolica non è più assicurata la materia alternativa. Ci definiscono professionisti della formazione poi ci pagano come impiegati di basso livello e ci offendono con campagne denigratorie sui mezzi di comunicazione di massa.

Infine, ed è la cosa che ci fa indignare di più, lodano le scuole private e danno loro soldi pubblici.

La motivazione è senz’altro il nostro salvagente. Sembriamo l’equipaggio di una barca che galleggia a fatica in un mare tempestoso nonostante le numerose falle aperte. Ma i successi sempre più esigui, a causa delle difficili condizioni di lavoro ,ci stanno spingendo sul fondo del mare.

Siamo professionisti della scuola e non volontari d’oratorio. La qualità ha un valore. Uno Stato che vuole disegnare una scuola nuova deve essere disponibile ad investire risorse economiche cospicue, “un capitale invisibile”, citando G. Gozzer. L’alternativa sarà una scuola priva di mezzi che diventerà sempre più strumento di selezione, ma non di merito, incapace di promuovere in tutti l’acquisizione delle competenze essenziali per l’esercizio del diritto di cittadinanza.

E’ questo che vogliamo?

Gli ulteriori tagli del personale docente e le soppressioni dei posti a pensionamento, costringono ad un continuo smembramento di classi ed accorpamento di alunni ad altri gruppi, con nuova crescita del numero di bambini in ogni classe, in barba alle vigenti norme sulla sicurezza e ai diritti di integrazione e di sviluppo delle capacità, degli alunni diversamente abili. Ricordiamo che leggi come la 517/77 e la successiva legge Quadro 104/92, nonché la 148/90, sono state in questi decenni il fiore all’occhiello della scuola italiana a livello europeo elevandone l’altissima qualità riconosciuta ovunque; ora tutto è stato e continua ad essere stravolto. Mai come adesso, però gli organismi predisposti chiedono alla scuola pubblica risultati ottimali sempre più verificabili. E purtroppo non è ancora a tutti chiaro su che base, con quali metodi e sistemi ciò possa avvenire.

I tagli del personale ATA, sia amministrativo che dei collaboratori scolastici, costringono ormai ad un lavoro sempre più serrato e pesante tale personale, a fronte di un’opinione pubblica diffusa che lo considera un carrozzone non indispensabile da tirarsi dietro. Chi ha veramente esperienza di scuola non può non rendersi conto dell’essenzialità di detto personale per l’impegno e il supporto continuo e sostanziale e per la preziosa interazione con gli alunni.

Un’ultima riflessione. La qualità della scuola non è materia che interessa solo chi è preposto ad erogare il servizio, ma dovrebbe interessare in misura maggiore chi, di quel servizio usufruisce, quindi la cosiddetta utenza, ovvero la totalità della popolazione. Ebbene la popolazione è come addormentata, estranea a problemi che sembrano circoscritti al taglio dei posti di lavoro del personale della scuola. E’ proprio il momento allora che la scuola si riappropri della sua funzione divulgando, attraverso le forme più varie, le problematiche che condizionano negativamente i modi e i tempi di erogazione di un servizio che, nel contesto europeo, è visto come strategico per la ripresa e la crescita, anche e soprattutto economica, dei paesi membri.

La scuola dello Stato è di tutti e per tutti. Difendiamola!

Monterotondo 17/06/2011 Il personale dell’Istituto Comprensivo “R. Giovagnoli” di Monterotondo

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Giovanni Lembo

Giornalista, sceneggiatore, speaker, podcaster, raccontastorie, papà imperfetto. Direttore di Sitopreferito.it e fondatore del Preferito Network. Conduce Preferito Cinema Show su Radio Kaos Italy tutti i martedì alle ore 15, e il podcast L'Edicola del Boomer sulle principali piattaforme. Gli piacciono i social, i fumetti, le belle storie, scrivere di notte con la musica nelle orecchie, vedere un sacco di film e sognare ad occhi aperti.

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